Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/02/2012
I greci non si fidano dei partiti politici che hanno avallato il piano ‘lacrime e sangue’ chiesto, anzi imposto, dall’Ue e non capiscono quei leader che si sono impegnati a rispettarlo dopo le elezioni politiche anticipate di aprile. E l’Ue non si fida dei greci che, secondo i sondaggi, potrebbero affidare il paese a forze di opposizione pronte a rimettere tutto in discussione. C’ è paura e rabbia, in Grecia: rabbia per come le cose stanno andando; paura, che possano andare peggio.
Uno spiraglio si apre in serata, con l’annuncio d’un accordo su altri tagli per 325 milioni di euro, soprattutto –pare- sulle pensioni: il governo spera che serva a convincere l’Eurogruppo, lunedì, a Bruxelles, a sbloccare il piano di salvataggio del Paese.
Scendono in campo tutti: il presidente Karolos Papoulias, che non entra mai nelle beghe politiche, accusa il ministro delle finanze tedesco Wolfganf Schauble di insultare la Grecia; e, come gesto di solidarietà con la sua gente, rinuncia alla sua retribuzione. E gli statistici calcolano che la crisi stia per battere il record argentino: dal 2008 a oggi, il pil è crollato del 16%, è stato bruciato un sesto della ricchezza nazionale (il default argentino, nel 2001, costò un quinto della ricchezza nazionale).
Il Pasok, i socialisti di Giorgio Papandreu, l’ex premier, è ai minimi storici di sostegno popolare, sotto il 10%, mentre Nea Demokratia, il partito di centro-destra responsabile dei ‘conti falsi’ che hanno spinto verso l’attuale disastro, nascondendo la realtà della situazione ai cittadini e ai partner, ha ancora quasi un terzo delle intenzioni di voto: certo, con quelli al potere si viveva meglio.
Un sondaggio per conto del quotidiano Kathimerini indica che il partito guidato da Antonis Samaras sarebbe il più votato, se si andasse oggi alle urne. Al secondo posto, col 18%, Sinistra Democratica, un nuovo partito formato da Fotis Kouvelis, seguito dal Partito Comunista col 12,5%, solidamente ancorato qui al suo impianto marxista-leninista. Poi una coalizione radicale di sinistra democratica, Siryza, col 12%, il Pasok all’8%, Laos (estrema destra) al 5% e i Verdi-Ecologisti al 3,5%. L’ultra estrema destra ‘Alba d'Oro’ entrerebbe in Parlamento per la prima volta, toccando la soglia del 3%.
Quasi un terzo dell’elettorato, il 30%, è determinato ad astenersi: non ne vogliono più sapere dell’Europa e della politica. E, certo, le voci di pressioni di Parigi e Berlino perché Atene comprasse armi in Francia e in Germania, nonostante la crisi, non rendono Sarkozy e la Merkel né più popolari né più credibili.
Su questo sfondo d’incertezza e disgregazione, la decisione di andare alle urne in primavera appare incomprensibile: con il governo del ‘banchiere’ Lucas Papademos, la Grecia pareva avere tracciato la via poi imboccata dall’Italia con il Governo dei Professori. Ma l’esecutivo di Papademos è zeppo di contraddizioni: ha come ministro delle finanze Evangelos Venizelos già lì con Papandreu (un po’ come se Monti avesse Tremonti all’economia); e se ne va subito dopo avere somministrato la ‘cura da cavallo’ al paziente, lasciando il Paese nel caos e inducendo l’Ue a tenere i cordoni della borsa chiusi.
Certo, papademos non ha la popolarità di Monti: nove greci su dieci sono insoddisfatti dell’operato del governo. Il politico che piace di più è Kouvelis, un nuovo, quello che piace di meno Papandreu. Ma neppure la scelta di andare alle urne convince: il Paese è spaccato tra chi vuole votare e chi vorrebbe prima vedere posarsi la polvere della crisi.
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