Scritto per Il Fatto Quotidiano del 01/02/2012
Un asino esilarato assiste ai goffi –e infruttuosi- tentativi di Mitt Romney di montare sulla groppa d’un elefante: l’asino è il simbolo del partito democratico, l’elefante quello del partito repubblicano. La scenetta di un video della serie American Democracy indica le difficoltà di Romney ad assumere il controllo del Great Old Party. Ma a un certo punto l’asino ammutolisce, perplesso: s’è accorto che Barack Obama è salito a cavalcioni sulla sua groppa. Solo che il presidente è voltato al contrario e agita una carota in cima a un bastone non davanti al muso del somaro, per farlo avanzare, ma verso il suo deretano.
Come dire che, se i repubblicani non hanno un leader, i democratici ne hanno uno che conclude poco. Il video è molto cliccato, e vivacemente commentato, nel giorno in cui le primarie fanno tappa in Florida. Romney, reduce dalla batosta nella South Carolina, sembra, stando ai sondaggi, potersi prendere la rivincita su Newt Gingrich: sarebbe avanti addirittura di 15 punti, resterebbe primo anche se Gingrich incamerasse tutti i voti di Rick Santorum, che potrebbe essere al capolinea.
Nell’America delle elezioni, anche i disegnatori di fumetti fanno i loro ‘endorsements’, cioè schierano se stessi e i loro personaggi per l’uno o per l’altro candidato. Ma, essendo la satira e l’ironia il loro mestiere, non risparmiamo frecciate neppure al loro beniamino. Così, è innegabile che Obama sia il favorito di tutti i disegnatori progressisti d’America, quelli, tanto per intenderci, che siamo abituati a trovare sulle pagine di Linus, dal principe dei liberal Garry B. Trudeau (Doonesbury) a Darby Conley (Get Fuzzy), fino ai meno inclini a includere frammenti d’attualità nelle loro strisce Scott Adams di Dilbert, Jim Meddick di Monty, Stephan Pastis di Perle ai Porci e Richard Thompson di Cul de Sac.
Trudeau e –meno- Conley non hanno risparmiato al presidente critiche e frecciare, per la mancanza di leadership, specie sul fronte interno. Ma, adesso che la partita si fa dura, Trudeau è meno pungente. Del resto, mica tutti i fumetti e i cartoonssono liberal e pro Obama. Esempio: la famiglia dei Simpson ha ben poco di progressista e di democratico nei suoi comportamenti. Buon per Obama che Homer, al 90%, sarà troppo pigro per andare a votare e che Bart non ha l’età. Ma se Homer si trascinasse, tra una birra e un rutto, alle urne, rischierebbe di votare quello zombi di Newt Gingrich. E quanto a Bart, bastian contrari com’è, se non altro per fare dispetto alla sorellina Lisa, l’illuminata di famiglia, voterebbe Ron Paul il libertario.
Ora, i Simpson si mettono in combutta con uno che all’Amministrazione Obama ha dichiarato guerra (e viceversa): Julian Assange, il discusso fondatore e animatore di Wikileaks, l’uomo di tutte le fughe, tranne la sua dall’Inghilterra, dove si batte per non essere estradato in Svezia - Stoccolma lo vuole processare per stupro. Assange sarà protagonista (e darà la sua voce al suo personaggio) di una puntata dei Simpson: non una qualsiasi, il 500.o episodio, in onda negli Usa il 19 febbraio (troppo lontano dall’Election Day del 6novembre, comunque, per contare qualcosa). Le creature di Matt Groening sono abituate a ospiti d’eccezione e leader politici, da Tony Blair a Nicolas Sarkozy. Ma Julian è uno scomodo: per Casa Simpson e per la Casa Bianca.
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