Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 22/02/2012
Nel giorno in cui rientrano dall’Afghanistan le salme degli ultimi tre militari italiani morti in quel Paese –e sono 49 dal 2004-, il Senato, con 223 sì, 35 no e due astenuti, converte in legge in via definitiva il decreto che rifinanzia le missioni internazionali delle Forze Armate italiane, tra cui quella in Afghanistan, e iniziative di cooperative. Votano a favore PdL, Pd, Terzo Polo, contro IdV e Lega Nord. Il tutto passa senza un fremito d’interesse nell’opinione pubblica, un sussulto di polemica o, quanto meno, un interrogativo d’opportunità sui media.
Certo, non c’è più la Libia a gonfiare i costi e il ministro La Russa ad accendere il dibattito; e il no della Lega non mette più in forse la coesione della maggioranza. Ma la cifra stanziata è comunque grossa, in tempi di crisi e di tagli: 1,4 miliardi di euro, quasi il doppio di quella cui eravamo abituati, perché, stavolta, il decreto copre tutto il 2012, mentre quelli precedenti avevano durata semestrale.
Probabilmente, il rifinanziamento è una decisione giusta, nonostante quelle salme dei tre caporalmaggiori del 66° Reggimento ‘Friuli’ di Forlì ci ricordino che le missioni militari, anche quando si dicono, magari impropriamente, di pace, sono sempre rischiose: il pericolo non è solo l’attacco del nemico, o l’ordigno che esplode lungo la strada, ma anche un guado assassino.
L’Italia deve assolvere alle responsabilità assunte sulla scena internazionale: non tutte sono al di sopra d’ogni dubbio, ma le più contestabili, come ormai quella in Afghanistan, volgono al termine e non c’è nessuno, compresi gli americani, che non veda l’ora che finiscano. E, poi, il Governo ha limato le presenze: niente più Repubblica democratica del Congo, ad esempio, e basta consulenza, formazione e addestramento, in ambito Nato, delle forze armate e di polizia irachene; interventi di cooperazione, invece, in Iraq, Libia, Libano, Somalia, Sudan e Sud Sudan, Myanmar e altri Paesi.
Ma colpisce l’assenza di dibattito e d’interesse. Una prova in più –ma non serviva- che in Italia la politica estera e di difesa interessa solo in funzione della politica interna: se non c’è il sale della polemica e dello scontro, a chi gliene importa perché stiamo in Afghanistan oggi? Già, a proposito, perché ci stiamo?
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