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mercoledì 1 febbraio 2012

Usa 2012: Florida, Romney vince ma non è finita

Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 01/02/2012

Mitt Romney vince in Florida a mani basse (quasi il 50% dei suffragi) e incamera tutti e 50 i delegati dello Stato alla convention. Ma la corsa alla nomination non è finita: ‘penna bianca’ Newt Gingrich è staccato di 14 punti (32%, contro il 46% del rivale mormone), ma se somma ai suoi voti quelli dell’integralista cattolico Rick Santorum (13%) fa match pari.

L’operazione non è cervellotica: Santorum, ex senatore, ultra-conservatore, vincitore a sorpresa nello Iowa il 3 gennaio, può essere al passo dell’addio, dopo avere infilato risultati deludenti nel New Hampshire, in South Carolina e
in Florida. Ora, sta già facendo campagna nel Nevada, la prossima tappa. E di lì commenta: “L’America vuole vedere la sconfitta di Barack Obama” (però, non
la sua vittoria. Un messaggio di coesione repubblicana, che può preludere all’uscita di scena. E i suoi voti, e i suoi delegati, andranno a Gingrich, cui ha finora conteso le aree ultra-conservatrice religiosa e populista-qualunquista
del Tea Party.

La Florida, dunque, non consegna la nomination a Romney, anche se ne rilancia la corsa in testa, dopo la battuta d’arresto nella South Carolina; e sancisce
il duello con Gingrich, che di sicuro andrà avanti almeno fino al ‘Super-Martedì del 6 marzo, quando si voterà in una decina di Stati –di qui ad allora, ci sono solo Nevada e Maine-. Ron Paul, il campione libertario, resterà probabilmente in gara fino in fondo: una testimonianza, la sua, senza speranze di successo.

Nel giro di dieci giorni, South Carolina e Florida hanno dato risultati rovesciati: là, Gingrich avanti a valanga, qui Romney. Ma i due Stati non sono confrontabili per composizione demografica e tendenza politica; e là Romney aveva perso il dibattito televisivo, che qui ha vinto. Merito, si dice, del suo nuovo ‘allenatore’ Brett O’Donnell, un guro dei dibattiti, che in 48 ore avrebbe trasformato Mitt l’indeciso in un oratore aggressivo e convincente. Anche in America, dunque, la squadra che cambia l’allenatore vince la prima partita, anche se non è detto che poi vinca il campionato (o si salvi).

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