Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/02/2012
Quando accade, c’è sempre chi parla di “operazione ad orologeria”: il luogo comune si ritrova, puntualmente, in dichiarazioni fotocopia. Ma, questa volta, si direbbe che gli orologi della finanza internazionale sono mal sincronizzati, o sono semplicemente impazziti. Perché l’ennesima, e se vogliamo stra-annunciata, operazione di riduzione del rating dell’Italia e di altri paesi della zona euro avviene in una ridda di segnali discordanti, se non di segno diametralmente opposto.
L’Italia è additata ad esempio all’Europa dal presidente Usa Barack Obama; ed è portata a modello alla Grecia da ‘Le Monde’, mentre il presidente del Consiglio Mario Monti si appresta a trasmettere al Parlamento europeo in sessione plenaria l’appello per la crescita affidatogli da Obama: oggi, Monti parlerà a Strasburgo e farà una conferenza stampa insieme al presidente dell’Assemblea Martin Schulz.
Intanto, Ue e Usa intrecciano le consultazioni con la Cina: gli emissari europei Manuel Barroso e Herman Van Rompuy vedono Hu Jintao, il presidente uscente; e Obama riceve Xi Li, che sarà presidente da novembre. La concomitanza suggerirebbe facili ironie: l’Europa che parla a chi presto non conterà più e l’America che se l’intende con l’uomo nuovo e forte. Ma sia Bruxelles che Washington stanno oggi attente agli umori di Pechino, che non s’affanna a correggere gli squilibri delle grandi economie mature.
Nella ridda di fatti, Bruxelles non pare cogliere la drammaticità del momento greco: forse confusi dall’annuncio di elezioni politiche anticipate ad aprile, che possono vanificare il piano di rigore appena varato fra tumulti di piazza, i ministri dell’eurogruppo s’impuntano. Il loro presidente, il Jean-Claude Juncker, fa sapere che, da Atene, “non sono ancora arrivate le assicurazioni politiche necessarie all’attuazione del programma” d’austerità. Oggi, mercoledì, l’eurogruppo, dunque, non si riunirà: ci sarà solo una teleconferenza. Come dire che lo sblocco dei miliardi di euro necessari a garantire la solvibilità greca si farà ancora attendere. In serata, però, i leader dei maggiori partiti greci sottoscrivono l’impegno a rispettare i tagli anche dopo il voto: un annuncio che dovrebbe distendere gli animi nell’eurozona.
Il downgrade dei rating di Moody’s, l’ultima che mancava all’appello, è arrivato nella notte tra lunedì e martedì: l’Italia scende da A2 ad A3, su una china già tracciata dalle altre due sorelle, Standard & Poor’s e Fitch. Vengono pure declassate Spagna, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Malta. Fortissime e diffuse le perplessità; e immediati gli appelli a una riforma europea delle agenzie.
La spirale dei rating sembra essersi avvitata negli ultimi mesi. Mai, negli scorsi anni, i giudizi negativi sull’Italia si erano susseguiti con ritmo così serrato: da settembre le bocciature sono state incalzanti. Per carità, non ne sono rimasti esenti neppure Usa e Francia e, addirittura, il ‘fondo salva Stati’ Ue. Ma il taglio di Moody’s cade in netta controtendenza: la situazione italiana appare in fase di miglioramento, con l’avvio delle riforme, una maggiore credibilità sul fronte internazionale, misure di rigore già approvate e provvedimenti per la crescita già annunciati, a cominciare dagli interventi sul mercato del lavoro.
Un quadro ben noto a tutti; e che oggi Monti sciorinerà nell’aula di Strasburgo. Tanto che la Commissione europea è costretta a rivedere la prima bozza del suo rapporto sulla correzione degli squilibri macroeconomici, stilato come previsto dal pacchetto di misure noto come Six Pack. Nella versione iniziale, Olli Rehn, il finlandese che è l’ ‘angelo custode’ dell’economia italiana, metteva Roma fra gli ultimi della classe, insieme a tre soli altri stati. Nella versione che ha ieri presentato al Parlamento, invece, l’Italia è nella folta lista di quelli che necessitano “un’analisi approfondita” per la situazione macro-economica, dove preoccupano entità del debito e modestia della crescita (12 i Paesi del gruppo, fra cui Francia e Spagna.
Neppure i primi della classe sono esenti da critiche. A Berlino, il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, che la scorsa settimana a Roma faceva complimenti a Monti, ammonisce la Germania: ha “bisogno di riforme” e non deve “adagiarsi sugli allori”, anche perché “invecchia più velocemente degli altri”. Si torna a parlare dei conflitti di interesse delle agenzie di rating e dell’attesa riforma: divieto di rating non richiesti dei debiti sovrani, creazione di un’agenzia europea indipendente; divieto di valutazioni che nascano in un clima di ‘conflitti d’interessi’.
L’apparente dicrasia tra rating ed economia reale viene fotografata anche dalle Borse, forse per la prima volta in modo così palese. Piazza Affari e tutti i listini europei viaggiano in positivo, nonostante gli strali di Moody's. Anche Atene parte bene, nonostante i segni della battaglia tutto intorno. Certo, lì c’è tempo di vedere come vanno le altre: perché, in Grecia, la borsa, che altrove in Europa apre alle ‘09.00, apre alle 09.30. Ma, attenzione, non le 09.30 locali, bensì le 09.30 di Bruxelles. Vuol dire che la borsa greca apre in realtà alle 10.30. Che fretta c’è, mica c’è il fuoco in casa…
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