Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/02/2012
Ormai, l’ipotesi non è più considerata fantapolitica, a Washington: le primarie dei repubblicani possono sfociare in una convention aperta. A Tampa, in estate, nessuno dei candidati in lizza potrebbe arrivare disponendo dei 1.144 delegati necessari a garantirsi la ‘nomination’. A dare concretezza a questa prospettiva, è proprio l’onda inattesa dell’italo-americano Rick Santorum, che a febbraio s’è già aggiudicato Colorado e Minnesota, oltre che un platonico test nel Missouri, senza delegati in palio, e cresce nei sondaggi nel Michigan, dove si voterà il 28 –quel giorno, primarie pure nell’Arizona-.
In settimana, The Hill, uno dei siti di chiacchiericcio politico più frequentati, ha giocato la carta della convention aperta, titolando: “Jeb Bush contro Sarah Palin”. Una battuta, o un pronostico? Se la convention non ha un vincitore già designato, può saltare fuori un nome nuovo e, in questo caso, l’eroina del Tea Party rimasta, a sorpresa, fuori dalla corsa e il rampollo ‘buono’ della nidiata Bush, ex governatore della Florida, condizionato nelle sue ambizioni dall’imprevisto successo del fratello ‘buono a nulla’ George W., potrebbero essere i cavalli su cui puntare. A questo punto, non appare del tutto disinteressata l’opinione controcorrente della Palin, secondo cui è meglio che la corsa alla nomination resti incerta il più a lungo possibile.
Per ora, però, in lizza sono in quattro: il moderato Mitt Romney, un ‘paperone’ mormone, ex governatore del Massachussetts, che mostra la corda, sempre battistrada, almeno nel computo dei delegati raccolti, ma poco convincente e mai davvero trascinante; il libertario Ron Paul, ginecologo, ex deputato del Texas, che reciterà fino in fondo il ruolo di terzo incomodo; e i due campioni ultra-conversatori, Rick Santorum, ex senatore, cattolico, che dopo la tripletta appare in spolvero, e Newt Gingrich, ex speaker della Camera, che punta sul Super-Martedì, il 6 marzo.
Fin quando il campo della destra religiosa, quella mobilitata dai predicatori evangelici, e l’area populista-qualunquista, quella del Tea Party, restano incerti tra Santorum e Gingrich, Romney rimane favorito; ma quando gli ultra-conservatori dovessero giocare una sola carta, Romney si troverà in difficoltà. Mentre andrebbe bene al presidente Barack Obama: ne Santorum né Gingrich possono, sulla carta, conquistare voti al centro e inquietarlo nelle presidenziali del 6 novembre.
E’ probabile che l’ex senatore e l’ex speaker continuino a battagliare almeno fino a quando, in primavera, non si pronuncerà il Texas, che assegna 155 delegati. Per il momento, dopo 8 match effettivi, Romney ha quattro vittorie (New Hampshire, Florida, Nevada, Maine) e Santorum tre (Iowa, inizialmente attribuito a Romney, Colorado e Minnesota), mentre Gingrich ha vinto solo nella South Carolina.
In campo, ora, ci sono le lobbies. Quella contraria ai matrimoni omosessuali appoggia Santorum, la cui storia personale rispecchia le posizioni pro-famiglia e contro l’aborto –otto figli e, per almeno due di essi, storie drammatiche-. Il tema è d’attualità perché il parlamento del New Jersey ha appena legalizzato le unioni gay, ma il governatore repubblicano Chris Christie, considerato un potenziale aspirante presidente, potrebbe porre il veto.
Invece, la lobby a difesa dell’emendamento della Costituzione che autorizza i cittadini a possedere armi s’è finora orientata su Paul (ma la potentissima National Rifle Association non s’è schierata). Fronte finanziatori, Romney continua a disporre degli sponsor più generosi, colossi della telecom o della distribuzione come AT&T e Walmart. Obama, però, a conti fatti surclassa i rivali: a gennaio, ha raccolto dai suoi donatori diffusi quasi 30 milioni di dollari, più di quanto Romney ha avuto in tre mesi dai suoi mega-donatori: con i repubblicani nel caos, le casse piene e gli sgravi fiscali nella finanziaria 2012, il secondo mandato è quasi in tasca.
Una vittoria di Santorum nel Michigan potrebbe fare pendere i favori del pronostico (e la generosità degli sponsor) sull’avvocato vicino a Bush jr. Lo Stato dell’auto per antonomasia –sono qui le sedi delle grandi industrie- è sulla carta promesso a Romney: il padre ne fu governatore, la madre rischiò di divenirne senatore. Ma le posizioni assunte dal candidato mormone sull’industria automobilistica lo danneggiano, anche se i ‘colletti blu’ superstiti in questo stato un tempo operaio non voterebbero comunque repubblicano. I sondaggi più recenti danno Santorum, ma i dati sono volatili: Romney ha pronta una raffica di spot contro il rivale, che finora non era stato un suo bersaglio, mentre l’italo-americano deve adattare al Michigan i suoi discorsi, parlando più di crescita e meno di valori.
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