Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/05/2012
Un governissimo farcito di generali (ben tre), un governo -noi diremmo- di solidarieta' nazionale, che mette insieme partiti, come Likud e Kadima, che fino a ieri si guardavano in cagnesco. La scelta del premier israeliano Benjamin Netanyahu suscita interrogativi in Europa e in America e desta allarme in Medio Oriente.
Chi non ha dubbi sono i dirigenti della jihad islamica palestinese: il nuovo governo israeliano è stato formato "in vista di una nuova offensiva militare su Gaza", scrivono in una nota. Il nuovo esecutivo di unità nazionale e' -osservano- "un governo composto da numerosi militari che hanno commesso crimini di guerra contro i palestinesi". E "tra loro ci sono generali il cui obiettivo è una nuova guerra su Gaza".
Per altri, invece, nel Golfo, ma pure in Europa e negli Usa, governo più solido e' uguale a governo più libero di colpire l'Iran: un'azione preventiva destinata a distruggere gli impianti nucleari iraniani e a cancellare l'incubo d'una atomica integralista. Lo 'strike' sarebbe, inoltre, un modo, per Netanyahu, di creare un grattacapo al presidente Usa Barack Obama, che con il premier israeliano ha rapporti che definire freddi non e' esagerato. E c'e' gia' chi ipotizza che l'attacco all'Iran possa essere la sorpresa d'ottobre di Usa 2012, cioe' l'evento in grado di cambiare corso alla campagna.
Piani da dottor Stranamore, forse. E chi li avalla con la densita' di generali nell'equipe di Netanyahu ignora, o sottovaluta, che i generali in politica e al potere sono una tradizione israeliana consolidata, da Moshe Dayan ad Ariel Sharon.
Il governo Netanyahu allargato e' una coalizione di sette partiti, con 94 seggi su 120 alla Knesseth: 27 del Likud del premier, 15 della destra radicale, 5 degli ortodossi ashkenaziti, 11 degli ortodossi sefarditi, 3 dei nazional-religiosi, 5 della lista dell'ex premier ed ex generale Ehud Barak; a questi si aggiungono, dopo l'accordo con Shaul Mofaz, i 28 di Kadima, il partito centrista.
La nuova coalizione permette d'evitare la trappola di elezioni politiche anticipate a luglio. Ma questo non basta a giustificare la mossa, per gli islamici palestinesi, "Israele -sostengono- vive ormai da tempo in stato d’allerta in vista di nuove guerre e dopo le rivoluzioni arabe non si sente più al sicuro".
Un'analisi di parte, ma documentata: se diverse unità sarebbero state richiamate e dispiegate lungo il confine con l’Egitto, il pericolo percepito più acuto e' l’Iran verso cui intenderebbe compiere un attacco preventivo; e pure il sud del Libano e Gaza sarebbero "prossimi obiettivi".
Militarmente, l'ipotesi d'attacco. all'Iran non e' campata in aria. Israele ha la possibilità di lanciare varie ondate di attacco simultaneo di tre pacchetti di 18 velivoli ciascuno, per un totale quindi di 54 velivoli per ogni operazione. Il limite è dato non dai mezzi di attacco, ma dalle capacità autonome di rifornimento in volo. Potrebbero essere usati velivoli F.15 di ultima e penultima generazione o una parte dei 150 nuovi F.16.
Per distruggere siti protetti o sotterranei come Nantaz, Isfahan e Arak, Israele già disporrebbe di una sufficiente quantità di armamento convenzionale di precisione, fornito in parte dagli Stati Uniti. Potrebbero esserci in inventario bombe pesanti da 5.000 libbre, ad alta penetrazione - del tipo già usato in Afghanistan contro le caverne di Tora Bora e in Libia per i bunker di Gheddafi - e altro armamento di caduta sganciabile da alta quota a distanza di oltre 50 miglia dall’obiettivo, fuori dal raggio delle difese, capace di una precisione inferiore ai due metri. Con la chiusura dello spazio aereo turco - attualmente scontata - l’operazione sarebbe più complessa, ma resterebbe fattibile.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento