Scritto per L'Indro il 23/05/2012
Il G8 alla prova del nove, anzi dei 27: le indicazioni scaturite lo scorso week-end dai leader dei Grandi riuniti a Camp David, spinta per la crescita senza rinnegare il rigore, aspettano, questa sera, una prima eco positiva europea dalla ‘cena dei capi’ di Stato e di governo dei Paesi dell’Ue. L’invito a Bruxelles è venuto dal presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy: nelle intenzioni, poco più di un’occasione sociale per incontrare il nuovo presidente francese François Hollande, insediatosi la scorsa settimana, giusto in tempo per una visita lampo a Berlino alla cancelliera tedesca Angela Merkel e per la partecipazione ai Vertici del G8 e, a seguire, della Nato a Chicago.
Dall’appuntamento di oggi, dunque, non ci si deve attendere nessuna decisione formale: non è la sede giusta; e neppure i tempi sono quelli giusti. La ‘coalizione per la crescita’ che va disegnandosi è disparata, dal socialista Hollande al premier conservatore britannico David Cameron al presidente del Consiglio italiano Mario Monti, professore e liberista (e dovrebbero pure esserci il centrista spagnolo Mariano Rajoy): ci vorranno buoni argomenti e capacità persuasive per acquisire alla causa la Merkel, che nella sua Germania riesce già a coniugare rigore e crescita e che non vuole rendersi garante degli altrui deficit.
L’obiettivo è di giungere a decisioni al Consiglio europeo di fine giugno, a chiusura del semestre di presidenza di turno danese del Consiglio dei Ministri dell’Ue: per quello che già s’annuncia come il ‘Vertice della crescita’, si lavora al potenziamento della Banca europea per gli investimenti (Bei), ai project bond e alla revisione del Patto di Bilancio. Il primo risultato è quasi certo; il secondo è possibile; il terzo è difficile. Vediamo le proposte in tavola.
I project bond sono obbligazioni legate a specifici progetti, solitamente infrastrutturali. La loro collocazione sul mercato viene guidata dalla Bei, che fissa pure le garanzie e i livelli di rischio, anche allo scopo di rassicurare il mercato. Nell’ottica francese e italiana, si tratta d’uno strumento che farebbe da apripista agli eurobond, titoli di debito comuni all’area euro: uno strumento meno ambizioso, e, dal punto di vista tedesco, meno pericoloso, perché legato a operazioni specifiche, il cui impatto sarebbe più facilmente prevedibile; ma capace, comunque, di smuovere qualcosa come 200 miliardi di euro di investimenti in tutta l’Ue nel prossimo triennio. Ovviamente, dopo avere aumentato la dotazione della Bei per incrementarne la capacità di fare da garante.
I project bond già esistono in molti paesi. Il quasi monopolio del loro utilizzo appartiene alla Gran Bretagna, che controlla circa il 90% di un mercato che, a livello continentale, vale circa cento miliardi di euro l’anno. Il resto è diviso, con quote basse, tra gli altri Paesi. I project bond esistono in Spagna, in Germania, in Francia, in Austria e pure in Italia, dove non sono praticamente mai stati usati: il decreto liberalizzazioni, per questo motivo, ha provato a rivitalizzare la disciplina delle obbligazioni delle società di scopo.
Se sui project bond e sulla ricapitalizzazione della Bei la strada sembra quasi in discesa, più complessa è la partita legata allo scomputo di alcune tipologie di investimenti dai vincoli del Patto di Bilancio: un’idea nata a Roma e promossa a livello internazionale soprattutto dal premier Monti, che l’ha concepita anche per rimediare alla drammatica situazione interna che vede bloccati, a livello nazionale e locale, i pagamenti alle imprese.
In sostanza, la proposta consiste nel non conteggiare nell’equilibrio tra entrate e uscite quello che lo Stato spende per alcuni capitoli ad alto valore aggiunto, considerati così strategici da non poter essere vincolati ai limiti del Patto di Bilancio. L’idea è valida, ma la realizzazione è piena di incognite: la Germania, infatti, teme che i capitoli “ad alto valore aggiunto” siano una testa di ponte per far saltare il rigore, fare lievitare le uscite e dare così il colpo finale ai già drammatici conti pubblici dell’Unione europea.
C’è poi una seconda questione non meno decisiva: l’individuazione dei capitoli. Circolano alcune indiscrezioni: si parla di infrastrutture, agenda digitale, banda larga; aree più circoscritte, come l’agenda digitale, sono viste con un certo favore anche dai paesi più rigoristi. Mentre il tema delle infrastrutture dovrà essere declinato con grande precisione, per evitare gli eccessi.
Infine, nel mese a venire si parlerà di una possibile integrazione del Patto di Bilancio, perché, per bilanciare la spinta del pacchetto franco-italiano, i paesi rigoristi vorrebbero maggiore controllo della spesa di corrente, quella che non riguarda gli investimenti ma l’ordinaria amministrazione. Un menù ‘pesante’, da rendere indigesta la ‘cena dei capi’.
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