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martedì 1 giugno 2010

MO: strage filo-palestinesi, Israele ha paura della pace

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 01/06/2010

Chi ha paura della pace in Medio Oriente? Nel mondo islamico, ci sono Paesi, forze, leader che non vogliono la pace. Ma Israele mostra d’avere paura della pace, come se solo lo scontro e l’isolamento gli diano la certezza e la coscienza della propria forza e della propria identità e gli consentano d’apprezzare gli amici. Come testimoniò Yitzhak Rabin, ci vuole molto più coraggio a fare la pace che a fare la guerra. E questo governo israeliano con un premier riciclato, Benjamin Netnyahu, ostaggio dei suoi alleati religiosi e di destra, il coraggio della pace non ce l’ha: litiga con i suoi migliori alleati, gli Stati Uniti in Occidente e la Turchia nell’Islam; ricorre a una forza immotivata ed eccessiva; fa l’unanimità della condanne, prigioniero della logica di una violenza preventiva che innesca altre violenze. C’è l’impressione che Netanyahu e i suoi vogliano tastare il terreno, misurare fin dove possono spingersi, magari irritati –o spaventati?- perché il mondo non prende sul serio come loro la minaccia iraniana.

La gravità di quanto ieri accaduto al largo di Israele, in acque internazionali, prescinde dall’entità della strage, che i morti siano una decina, come ammettono fonti ufficiali israeliane, o il doppio, come dicono media indipendenti e fonti palestinesi. Altre volte in passato Israele aveva impedito a pacifisti e filo-palestinesi di portare a termine le loro ‘spedizioni umanitarie”, con la forza magari, ma sempre senza fare vittime.

Il massacro sporca di sangue le prospettive di pace, dopo che gli sforzi di mediazione statunitensi, contrastati proprio dal governo Netanyahu, avevano finalmente innescato una ripresa dei negoziati, sia pure indiretti, fra israeliani e palestinesi. Adesso, la Lega araba dice che “proseguire sulla strada dei negoziati di pace è inutile, perché Israele non è pronto alla pace”. A un anno dall’apertura di Barack Obama al Mondo arabo, il 4 giugno 2009, il quadro mediorientale è più oscuro che mai e c’è lo spettro di una nuova Intifada.

La denuncia dell’azione israeliana violenta e deliberata è unanime. Il segretario generale dell’Onu Ban Ky-moon condanna la strage e se ne dice “sconvolto”. Il presidente Usa chiede di conoscere “tutti i fatti il prima possibile” e, intanto, pospone un incontro con Netanyahu, che è in Canada; la Santa Sede esprime “grande dolore”; l’Ue denuncia “la violazione del diritto internazionale”; e il ministro degli esteri Franco Frattini si attende “spiegazioni” da Israele per un atto “inaccettabile”.

Qua e là, affiora, nei commenti, l’ansia di non apparire anti-israeliani. Ma dire le cose come stanno a Israele e agli israeliani, dirle come le vediamo davvero, è il modo migliore di esserne amici.

Ma il calcolo di Israele trova riscontri nell’analisi fatalista di esperti arabi, secondo cui i regimi musulmani, immobili perché ogni scossone potrebbe essere loro fatale, cavalcheranno le piazze mediatiche senza però cambiare nulla nella sostanza delle loro politiche. Israele ha deliberatamente impiegato una forza sproporzionata alla situazione, per scoraggiare il ripetersi di tentativi del genere, ma anche per testare gli interlocutori: nell’immediato, Israele deve fare i conti con un vero e proprio disastro diplomatico e mediatico, ma a in breve tutto potrebbe tornare comeprima. Abdel Bari Atwan, direttore del quotidiano in arabo al Quds al Arabi, edito a Londra, constata: "Oggi, che è il giorno del disastro, accendiamo le tv nel mondo arabo e vediamo solo soap opera e programmi di varietà. Arabi, vergognatevi!”.

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