Scritto per Il Fatto Quotidiano del 05/06/2010
Un anno fa, il 4 giugno 2009, il presidente statunitense Barack Obama pronunciava, al Cairo e in diretta su trenta tv mediorientali, un discorso d’apertura al Mondo arabo che doveva essere, nelle sue intenzioni e nelle speranze del Mondo, un punto di partenza di nuove relazioni tra Occidente e Islam, fondate “sull’interesse reciproco e il reciproco rispetto”. Un anno dopo, Obama ammette che “lo ‘statu quo’ in Medio Oriente è insostenibile”, ma non riesce a sbloccarlo perché resta prigioniero, agli occhi degli arabi, dell’appoggio a Israele e, agli occhi degli israeliani, della mancanza di fermezza nei confronti dell’Iran. Contro i progetti nucleari di Teheran, potenzialmente militari, gli Usa “sperano” in un sì dell’Onu alle sanzioni entro il 21 giugno, mentre il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad s’impegna a “continuare a difendere i diritti dell’Iran”, anche se l’Onu dovesse varare misure.
L’anniversario del discorso al Cairo non poteva cadere in un momento peggiore per il presidente Obama, sia dal punto di vista della sostanza che dei simboli. Esso coincide infatti con l’annuncio dell’annullamento della visita in Indonesia, il più grande Paese musulmano al Mondo –la colpa è della marea nera- e segue l’annullamento di un incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, dopo il cruento blitz del 31 maggio contro i militanti filo-palestinesi che portavano aiuti a Gaza. A Washington, sta invece per arrivare il presidente palestinese Abu Mazen, che si prepara a sollecitargli “decisioni coraggiose”.
Il blitz israeliano ha certo peggiorato le cose nell’area, incrinando anche le relazioni tra Stati Uniti e Turchia, un Paese della Nato e a lungo un avamposto dei rapporti tra Israele e l’Islam. Ma pur senza il blitz il bilancio a un anno dal Cairo non sarebbe stato positivo. Con il discorso e con l’apertura al dialogo, Obama ha migliorato l’immagine degli Stati Uniti nel Paesi arabi, ma i maggiori ostacoli a sbloccare lo stallo gli sono venuti dal governo Netanyahu, anche per la diffidenza creata in Israele dal migliore feeling arabo-americano.
Negli ultimi tre mesi, per due volte Israele ha preso a ceffoni diplomatici l’Amministrazione Usa, facendo saltare l’avvio i negoziati indiretti con i palestinesi e poi ritardandone il riallaccio. Finchè, con il blitz di lunedì, Netanyahu ha costretto Obama a schierarsi: o con Israele o contro. E Obama, non condannando in modo esplicito l’azione israeliana e opponendosi all’Onu a una commissione d’inchiesta internazionale, s’è messo, agli occhi degli arabi, dalla parte di Israele: chi lo aveva sentito sincero un anno fa lo accusa ora di avere fatto della retorica.
Eppure, evoluzioni auspicate dall’Islam non erano mancate : Obama, nella sua revisione strategica, ha abbandonato la formula della “guerra al terrorismo”, che offriva una sorta di pretesto ideologico ai sentimenti anti-musulmani, e ha pure avallato le conclusioni del riesame del Tnp (Trattato di non proliferazione nucleare), che, nell’ottica di un Medio Oriente senza atomica e senz’armi
di distruzione di massa , mette in mora Israele, che non aderisce al Tnp e ha in segreto la ‘bomba’. Ma il sangue del blitz cancella i progressi, nonostante il negoziatore americano George Mitchell invochi il contrario.
sabato 5 giugno 2010
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