Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/06/2010
Vent’anni fa, o giù di lì, il mondo avrebbe tremato: “Retata di spie russe negli Stati Uniti. E, adesso, come reagirà l’Unione sovietica?”. Ora, invece, Mosca protesta e strepita: quelle non sono spie o, se lo sono, è brava gente, che non agiva contro gli interessi americani; e Washington difende l’operato della sua intelligence. Ma il sollievo degli uni e l’irritazione degli altri per gli arresti fatti si fondono nella comune volontà di evitare che l’incidente assuma dimensioni imbarazzanti. Al Dipartimento di Stato, si assicura che “i rapporti russo-americani continueranno a migliorare”.
Intendiamoci, gli ingredienti per una storia di spionaggio ci sono tutti, magari un po’ confusi: false (e improbabili) identità, con ‘Mike l’italiano’ e ‘Anna la rossa’, inchiostro simpatico, messaggi in codice e somme di denaro sotterrate e dissotterrate anni dopo. Le dieci persone arrestate rischiano fino a 25 anni di carcere per spionaggio e per riciclaggio. Alla conta degli inquirenti, mancherebbe un 11.o uomo. Una persona è stata fermata e rilasciata a Cipro. E l’inchiesta ha strascichi a Londra.
Gli arresti sono scattati domenica e sono divenuti di pubblico dominio lunedì, quando il ministero della giustizia statunitense ha annunciato l’operazione, compiuta pochi giorni dopo la visita fatta a Washington al presidente Usa Barack Obama dal presidente russo Dmitri Medvedev. Incontrandosi Obama e il suo ospite hanno sotterrato per l’ennesima volta l’ascia della guerra fredda fra i loro due Paesi; e, forse, mangiando l’hamburger dell’amicizia, hanno anche discusso come trattare la grana che stava per scoppiare.
Secondo l’accusa, gli arrestati, che Mosca dichiara russi, si facevano passare per americani, canadesi o peruviani e, in qualche caso, avevano assunto l’identità di persone realmente esistite, ma decedute. L’Fbi ha condotto l’inchiesta per dieci anni, seguendo i sospetti che si ‘dissimulavano’ fra la gente comune per “ottenere informazioni” e, soprattutto, “infiltrare i circoli politici”.
Addestrati dall’Svr, il servizio d’informazioni sovietico, erede del più celebre Kgb, gli agenti russi compivano una ‘full immersion’ nella società americana, facendosi pure passare per marito e moglie –una tattica comune: per un ex del Kgb, sono una quarantina le coppie di 007 in servizio- e spingendo la ‘finzione’ fino ad avere figli.
Prima di compiere gli arresti, gli uomini dell’Fbi s’erano clandestinamente introdotti negli alloggi delle spie, a New York, Boston e Seattle, le avevano seguite, sorvegliate e persino avvicinate, fingendosi a loro volta agenti russi. Non tutto è verosimile, o convincente, nelle ricostruzioni fornite: le comunicazioni sarebbero avvenute via internet o con radio a onde corte, con radiogrammi “in genere simili a segnali morse”.
La caccia è stata lunga e tenace. Ma il massimo dei contatti che gli arrestati hanno avuto sono stati “un alto responsabile finanziario di New York” o “un ex consigliere di un congressman”: nessuno sarebbe mai entrato davvero nelle segrete stanze del potere americano.
La diplomazia russa è la prima a rilevare “contraddizioni” nelle informazioni dell’Fbi: il ministro degli esteri Serguiei Lavrov chiede “spiegazioni” e il premier Vladimir Putin, uno che se ne intende avendo fatto scuola e carriera nel Kgb, spera che la vicenda non danneggi i rapporti russo-americani rimessisi sulla carreggiata giusta dopo essersi guastati negli ultimi tempi della presidenza Bush.
Mosca nega che i suoi presunti agenti abbiano leso gli interessi americani e giudica “infondate” e “malevole” le accuse loro mosse. Lo stesso dicono i vicini di casa dei sospetti: tutta gente tanto per bene, chi l’avrebbe mai detto? Del resto, regola prima: se fai la spia, evita di comportarti da spia.
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