I volani del risparmio e dell’efficienza per spingere verso l’integrazione la difesa europea, lungo le vie maestre della standardizzazione, dell’armonizzazione, di ricerca e sviluppo a fini non solo militari, ma pure civili.
Se n’è discusso oggi
a Torino, nel dibattito nazionale per una politica estera e di difesa comune, organizzato
nel Foyer del Toro del Teatro Regio, a poco più di un mese dal Vertice europeo
di metà dicembre dedicato proprio alla difesa europea.
Il dibattito s’è
dipanato con molta ampiezza: documenti di riferimento approfonditi, predisposti
dallo IAI, e interventi alti, come quello del vice-ministro degli Esteri Martà
Dassù, o sottotraccia, come quello del sottosegretario alla difesa Roberta
Pinotti.
Ma c’è pure
stata qualche reticenza e qualche ipocrisia, come se l’obiettivo di una
politica estera e di difesa comune andasse esposto con cautela e quasi
giustificato, per evitare di mettere sul chi vive i militari, da una parte, e
l’industria, dall’altra.
Così, ad esempio,
le cifre, pur già note, dello spreco che le duplicazioni della difesa europea
provocano sono venute fuori con qualche fatica: 120 miliardi di euro l’anno, quasi
la metà del totale della spesa militare dei 28 e quasi l’equivalente del
bilancio dell’Unione, circa l’1% del pil dell’Ue.
Solo
l’intervento finale del vice-presidente della Commissione europea Antonio
Tajani, responsabile dell’industria, ha fornito il quadro di quel che vale
l’apparato militare-industriale nell’Unione: 96 miliardi di euro di fatturato nel
2012, 23 miliardi di export extra Ue, 400 posti di lavoro diretti, oltre un
milione nell’indotto, in un mercato poco unico, perché l’80% degli appalti sono
nazionali.
Eppure, duplicazioni
e inefficienze -16 le fregate europee, contro l’una sola americana; 17 i carri
europei, contro i due americani- fanno sì che l’Unione non possa sfruttare, in
questo settore, economie di scala. Il risultato è – questi dati li cita
Giovanni Brauzzi, vice-direttore generale Sicurezza, al Ministero degli Esteri-
che i 28 spendono per la difesa il 50% di quanto spendono da soli gli Stati
Uniti, ma ne ricavano una capacità militare pari al 10/15% della capacità
militare americana.
L’evento di
Torino ha rappresentato la seconda tappa del percorso partecipativo ‘Politically.eu’,
“conoscere per deliberare”, volto a creare uno spazio pubblico di dibattito
sulle politiche europee. La prima era stata a Milano, prima dell’estate, ed era
stata consacrata alle questioni economiche. Altre tappe già previste sono
Firenze sulla sussidiarietà, Napoli sull’immigrazione e, in una sede da
definire, energia e ambiente.
L’evento di
Torino s’è aperto con gli interventi introduttivi del direttore della
Rappresentanza in Italia della Commissione europea Lucio Battistotti, che ha
indicato l’obiettivo di una politica della difesa comune più efficiente e meno
costosa, e del presidente del Centro Studi sul federalismo Roberto Palea, che
ha ricordato il fallimento, 60 anni or sono, nel 1954 della Comunità europea di
difesa, la Ced, e ha affrontato le questioni d’ingegneria istituzionale
relative alla politica estera e di difesa comune. Nel suo saluto, il sindaco di
Torino Piero Fassino ha osservato come, nel contesto dell’integrazione e della
globalizzazione, la sovranità sia rimasta quasi la sola prerogativa nazionale.
Le questioni
istituzionali sono riaffiorate in tutto il dibattito, con l’alternativa tra
riforme dei Trattati o sfruttamento di tutte le potenzialità previste dai
Trattati attuali, ma sono sempre state accantonate, perché troppo ingombranti
rispetto ad obiettivi più concreti e meno ambiziosi, come il completamento del
mercato unico della difesa europea.
Alle relazioni,
è seguito un workshop deliberativo, presieduto dall’ambasciatore Ferdinando
Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali, con la
partecipazione di parlamentari italiani ed europei, funzionari dei ministeri
competenti, aziende specializzate, docenti, esperti e giornalisti.
Nel workshop
deliberativo sono stati discussi tre temi: la politica industriale europea
della difesa come volano per la crescita; le nuove priorità della politica
estera di sicurezza europea; infine, il ruolo del Parlamento europeo e dei
Parlamenti nazionali nella definizione della politica estera dell’Ue dopo
l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Nessun commento:
Posta un commento