P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

venerdì 22 novembre 2013

JFK 50 anni dopo: 'Kennedy è morto', una storia di giornalismo

Scritto per La Voce della CRI e come appunti per interventi radiofonici il 22/11/2013

50 anni fa, il 22 novembre 1963, venne ucciso a Dallas il presidente Kennedy: l’evento è stato rievocato da tutti i media,  in questi giorni.  L’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, destinato a conservare un alone di mistero, sui moventi, gli autori, le circostanze, segnò un’epoca: tutti lo sanno. Ma non tutti sanno che fu pure un momento topico per l’etica giornalistica.

Al seguito del presidente e della  first lady Jacqueline Bouvier, c’era –quel 22 novembre- un pool di tre giornalisti: uno dell’Associated Press, la Ap, uno della United Press International, la Upi, all’epoca antagonista della Ap, e un cronista della Npr, la radio pubblica Usa.

La sequenza delle immagini, pur tremula, è ben fissa nella memoria: dopo gli spari, l’auto presidenziale parte a tutta velocità, seguita dall’auto immediatamente dietro del Secret Service, la polizia che assicura la protezione del presidente. L’auto ancora dietro è quella del pool: a bordo, con il collega della radio, Jack Bell, Ap, e Merriman Smith, Upi.

Smith è il decano dei corrispondenti dalla Casa Bianca: segue il presidente per la Upi da oltre vent’anni, sin dai tempi di Franklin Delano Roosevelt. Un giornalista da cui guardarsi, grintoso, che quando s’accaparra una notizia lo fa in modo deciso e senza troppi riguardi. E se c’è un collega che Smith non può sopportare è proprio Bell, l’uomo della concorrenza (tra Upi e Ap è corsa a dare per primi la notizia sul filo dei secondi).  La loro inimicizia è solida: data dal 1948.

Sulla loro auto nel corteo presidenziale, c’è un –rarissimo, per l’epoca- radio telefono: Smith e Bell hanno un accordo che prevede l’alternanza delle chiamate. Il telefono in quel momento tocca a Smith, che chiama subito la Upi per dettare la notizia: al passaggio del presidente, sono stati uditi dei colpi che parevano di arma da fuoco e l’auto di Kennedy s’è allontanata a tutta velocità. Smith non dà la notizia che Kennedy è stato ferito e che c’è stato un attentato perché non sa che cos’è successo. La stessa telefonata con informazioni analoghe la fa Bell.

I giornalisti arrivano all’ospedale nel momento in cui il presidente è già stato soccorso: un agente del Secret Service riferisce che Kennedy è stato raggiunto da colpi di arma da fuoco ed è morto. Smith non si fida e trasmette alla Upi la notizia che il presidente è stato ferito in modo grave, forse letale. Subito dopo, invece di lasciare il telefono a Bell, lo sradica letteralmente dalla postazione in cui è alloggiato. A quel punto, Bell, imprecando, si precipita fuori dall’auto e cerca di dare a sua volta la stessa notizia, mentre Smith resta sul posto, trova un’altra fonte, che gli conferma la morte di Kennedy, e riesce a trasmettere un dispaccio che, nella sua sinteticità, è entrato nella storia del giornalismo: “Kennedy è morto”.

La Upi lo trasmette subito, facendolo precedere da 17 scampanellii, il numero massimo, utilizzato fino ad allora solo per l’attacco di Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941. Allora, le telescriventi erano molto rumorose e i giornalisti non le volevano nella stanza in cui lavoravano: le tenevano in un locale accanto e, perché sentissero quando arrivava una notizia importante, le agenzia la facevano precedere da uno scampanellio.

Quel 22 novembre, fu un giorno triste per l’America e per l’Umanità. Ma fu un gran giorno per la Upi, che annichilì la concorrenza. L’anno dopo, Smith vinse il Pulitzer, il massimo premio  per i giornalisti americani; tre anni dopo, ricevette la medaglia della libertà, la massima onorificenza civile degli Stati Uniti. Bell venne, invece, licenziato dalla Ap, nonostante fosse un giornalista di lunga esperienza e di buon valore.

Quando m’interrogo sull’etica del giornalismo, rievoco sempre il trionfo di Smith, cattivo e scorretto, ma che dà per primo la notizia giusta e grossa. Anche se, poi, la storia farà giustizia di quel torto: l’Ap è sopravvissuta a quell’episodio ed è oggi la maggiore e la migliore agenzia di stampa mondiale, mentre la Upi ha conosciuto un viale del tramonto tristissimo.

Certo, oggi il mondo dell’informazione è ben diverso da quello di Smith e Bell: la televisione, internet, i social media, le ‘rivoluzioni’ si sono succedute e accelerate, tecnologiche e,  a seguire, professionali. E pure il Mondo è cambiato: multipolare e non più bipolare, globale e non più nazionale, assai più multietnico e multiculturale.

Ma l’essenza dell’etica del giornalismo, ridotta all’osso e semplificata al massimo, resta quella di non raccontare frottole e di farlo nel modo più tempestivo, più completo e più accurato possibile. Tutte regole che Smith osservò, in quella successione di dispacci entrata nelle scuole di giornalismo: fu odioso e umanamente abietto, ma fu un buon giornalista ...

Nessun commento:

Posta un commento