Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/11/2013
Ieri, in
Iraq, è stata una buona giornata. Per vivere, una volta tanto, non per morire:
le vittime d’attentati terroristici o di attacchi settari si sono contate sulle
dita delle due mani, a quanto, almeno, è dato sapere. Di solito, va peggio,
molto peggio. Dall'inizio dell’anno sono state uccise in Iraq quasi 6.000
persone, 964 ad ottobre –30 al giorno in media-, il mese più cruento dall'aprile
2008, quando parevano ormai avviarsi a termine le operazioni militari delle forze
internazionali. E ciò nonostante misure di sicurezza rinforzate e operazioni
militari su larga scala (ma di scarsa efficacia).
Meglio
che le vittime di Nassiriya non sappiano che fine ha fatto, dieci anni dopo, il
Paese dove erano andati credendo di costruire la pace facendo la guerra. L’arco
del terrore che va dal Pakistan al Nord Africa ha come pilastri i due Stati che
dovevano essere bonificati dopo l’11 Settembre, l’Afghanistan e, appunto,
l’Iraq.
Non c’è
quasi area del Paese indenne dagli attentati: Baghdad e Mosul soprattutto, ma
pure Kirkuk, Samara, Ramadi, sono località nelle cronache di sangue di questi
giorni. Obiettivi, sedi del potere, stazioni di polizia, moschee e luoghi di
riunione. Delle vittime di ottobre, 855 erano civili, il resto militari e
poliziotti; migliaia i feriti.
Sul
piano politico, l’Iraq guarda alle consultazioni legislative del 30 aprile, per
cui il Parlamento ha varato la scorsa settimana una nuova legge elettorale
–loro ci sono riusciti!-. Con un presidente, Jalal Talabani, curdo, che da
quasi un anno viene curato in Germania dopo un attacco cardiaco, tutto il
processo istituzionale è gestito dal vice-presidente Khoudayr al-Khuzaya.
Le
elezioni di primavera s’avvicinano in un quadro di contrasti politici,
religiosi ed etnici, in seno al governo d’unità
nazionale ancora presieduto da Nuri al-Maliki, leader sciita moderato,
insediato alla guida dell’esecutivo ancora all'epoca di George W. Bush –gli era
al fianco, quando Bush schivò le scarpe d’un contestatore iracheno-.
L’esito
del voto potrebbe sbloccare la paralisi che nasce dalla contrapposizione tra
gruppi religiosi ed etnici sciiti, sunniti e, nel nord, curdi: un mix che mina
da sempre l’integrità dell’Iraq e che sta alla base dell’insicurezza del Paese.
Nell'attuale
legislatura, governo e parlamento non hanno praticamente varato nessuna legge
significativa, mentre la gente continua a subire la carenza o l’assenza di
servizi di base essenziali, come l’elettricità e l’acqua, e la corruzione resta
diffusa. Funzionano, sì, i pozzi di petrolio, che forniscono all'Iraq un
gettito indispensabile.
Al-Maliki
è stato a Washington all'inizio di ottobre e ha parlato con Barack Obama,
soprattutto della lotta al terrorismo e della crisi siriana. Agli Usa, l’Iraq
chiede maggiore cooperazione, in linea con il patto strategico firmato prima
del ritiro, nel 2011, delle truppe combattenti americane. Washington intende
aiutare Baghdad, anche con equipaggiamento militare, a contrastare
“efficacemente” al Qaida, che ha recentemente scisso i comandi iracheno e
siriano.
Un punto
di forza di al-Maliki è di avere buone relazioni sia con gli Usa che con
l’Iran. Ma in patria il premier è contestato dai sunniti, che lo accusano di
atteggiamenti discriminatori, ed è criticato dagli sciiti, che subiscono più
dei sunniti l’insicurezza. E ciò nonostante esibizioni di rigore giudicate “oscene”
dall’Onu, come le 42 esecuzioni di condannati a morte nel giro di due giorni,
circa un mese fa.
Il
conflitto in Siria aggrava l’instabilità dell’Iraq, perché i ribelli siriani,
per lo più sunniti, si battono contro il regime del presidente al-Assad, un
esponente della minoranza alawita dell’Islam sciita. E ciò rinfocola in tutta
la Regione le tensioni etniche e religiose.
Alla
ricerca d’aiuti e di stabilità, l’Iraq non guarda solo all'America, ma anche
all'Europa. Il sunnita Tariq al-Hashimi, legalmente ancora vice-presidente, ma
rifugiato in Turchia dopo essere stato condannato a morte, chiede all’Ue una mano per “evitare una guerra civile”. E
anche il Papa invita a pregare “per la cara nazione irachena colpita
quotidianamente da tragici episodi di violenza, perché trovi la strada della
riconciliazione, della pace, dell’unità e della stabilità”.
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