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lunedì 25 novembre 2013

Iran: accordo sul nucleare, crepa Usa/Israele, chance per Siria

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/11/2013

Un accordo solido, perché tutte le parti vi hanno un loro tornaconto, ma provvisorio. Un’intesa che può prefigurare nuovi equilibri nel Medio Oriente, ma che vale sei mesi. In questo periodo, chi ci tiene, ai nuovi equilibri, farà di tutto per consolidarlo; e chi invece li teme farà di tutto per mandarlo all'aria. Su un punto, gli esperti concordano: il patto di Ginevra, che prevede limitazioni e verifiche sui programmi nucleari iraniani maggiori di quanto finora ipotizzato, è “un passo avanti”. Ma il più duro “resta da fare”.

L’accordo fra l’Iran e i Paesi del 5 + 1 –i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia, cioè le potenze nucleari ‘storiche’, più la Germania- prevede che Teheran accetti vincoli ai suoi piani atomici, conservando, però, il diritto ad arricchire l’uranio, sia pure sotto la soglia del potenziale utilizzo militare, in cambio di un alleggerimento delle sanzioni economiche adottate nei suoi confronti. Nei prossimi sei mesi, le parti continueranno a negoziare per definire un’intesa stabile.

La relativa malleabilità di Teheran in questa fase conferma che l’economia iraniana ha davvero cominciato ad accusare il peso delle sanzioni. Ma basta leggere le reazioni a caldo degli interessati per capire che l’accordo di Ginevra apre crepe in alleanze consolidate, senza per altro poterne cementare di nuove, là dove c’è di mezzo una generazione di diffidenze, tensioni, vere e proprie ostilità.

Ovviamente, tutti positivi i commenti dei protagonisti della trattativa, anche della Francia, che pure s’è assunta il ruolo nuovo di Paese più vicino a Israele. L’Onu e l’Ue suggeriscono ovvia prudenza, ma esprimono speranza e soddisfazione. Il presidente Usa Barak Obama dice all’America che l’intesa di Ginevra rende il Mondo “più sicuro”, mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu la definisce “un errore storico”.

Israele non si fida dell’Iran e ne teme la bomba, che altererebbe i rapporti di forza nella Regione; e, oggi, si fida un po’ meno degli Stati Uniti. Obama e Netanyahu, poi, non sono mai stati in sintonia, per i successivi ammiccamenti dell’Amministrazione democratica al Mondo islamico, alle Primavere arabe e, adesso, in Iran, al presidente Hassan Rohani.

Gli ottimisti ritengono che il passo avanti fatto sia in qualche modo irreversibile e possa avvicinare, per l’influenza dell’Iran in Siria sul regime di al-Assad e in Libano sugli Hezbollah, la conferenza di pace di Ginevra e la soluzione politica del conflitto siriano. Susanne Maloney, specialista di Iran alla Brookings, prestigioso ‘thing tank’ di Washington, pensa che l’accordo possa tenere perché vincola “Teheran a un processo diplomatico le cui ricompense principali  non saranno ottenute fin quando l’intesa definitiva non sarà stata raggiunta”.

L’ennesima versione del gioco del bastone e della carota. Vi partecipano i falchi del Congresso Usa, che già minacciano nuove più pesanti sanzioni, se l’Iran dovesse ‘sgarrare’. In un tweet, il ministro degli Esteri Emma Bonino, fra i primi ad aprire un credito a Rohani, parla di "un passo importante per la pace in Medio Oriente" ed esprime "fiducia" per la Siria, "Ginevra 2 e i corridori umanitari”.

Partiti dalla lettera a giugno del presidente Obama al neoeletto Rohani, avviati da un primo incontro tra il segretario di Stato John Kerry e il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, i piccoli passi tra Usa e Iran hanno portato un risultato concreto dopo tre round di negoziati a Ginevra. Ora ci sono sei mesi per consolidarlo o sabotarlo.

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