Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 18/11/2013
Abdul, 13 anni, è stato rapito e ucciso in
Mozambico: i genitori s’erano rivolti alla polizia, che, invece di agire, l’ha
subito fatto sapere ai sequestratori. La notizia, come molte altre simili che
arrivano da quel Paese, e più in generale dall’Africa australe, mi sarebbe scivolata
addosso: chi mai s’interessa del Mozambico, se non c’è l’Eni di mezzo, solo
perché laggiù s’è riaccesa la guerra e ci s’ammazza ogni giorno, o perché una
cinquantina di persone sono state ferite negli scontri scoppiati a un meeting
dell’opposizione a Beira, nel centro del Paese, o perché fra qualche giorno ci
saranno elezioni locali.
Poi, una sera, a cena con amici, tutti a parlare della
campagna di Renzi, o della risata di Vendola, o delle telefonate della
Cancellieri, scopri l’angoscia di due di loro perché i nipotini vivono laggiù,
con i genitori impegnati in missione umanitaria. E improvvisamente quel ragazzino
di 13 anni, Abdul Raxid, rapito e ucciso a Beira –sempre lì- diventa quasi una
storia di famiglia: la sua come quella degli altri bambini e adulti
sequestrati, qualche occidentale, molti uomini d’affari esponenti della
comunità musulmana.
Per ottenere la liberazione di Abdul, la famiglia
aveva venduto e ipotecato tutti i suoi beni e aveva così raccolto un milione di
meticais, l’equivalente di 30 mila dollari, dopo che i rapitori erano partiti da
una richiesta di 30 milioni.
Trovato l’accordo con la gang, i genitori dissero alla
polizia che stava per consegnare il riscatto. Passano pochi minuti e arriva una
telefonata dei sequestratori: avevano saputo della telefonata e avrebbero
ucciso Abdul. Dopo 48 ore, il corpo del ragazzino è stato trovato a Dondo, lì
vicino.
Non è un caso isolato di connivenza tra agenti e
criminali. E non accade certo solo in Mozambico. Ad andare a scorrere le
cronache locali, si scopre che bancari forniscono informazioni ai rapitori, per
aiutarli a scovare i bersagli migliori; che ci sono anche 10 rapimenti la
settimana –denunciati- e che il capo della polizia di Maputo è stato
recentemente sostituito nel pieno dell’ondata di sequestri. Giorni fa, due
agenti e una guardia d’élite del presidente sono stati condannati per avere
rapito, tra il 2011 e il 2012, sei persone.
L’emergenza sequestri è talmente forte che imprese
private subodorano il buon affare: americani e francesi si sono offerti di
aiutare la polizia a combattere i delitti. Quando i rapiti sono occidentali, un
po’ se ne parla, come nel caso di due portoghesi che sono riusciti a sottrarsi
ai loro sequestratori a Matola, città satellite della capitale Maputo; se sono
mozambicani, non ci interessa proprio.
Eppure, in quel Paese abbiamo, dovremmo avere, una
responsabilità speciale, a parte gli interessi dell'Eni. La guerra civile, che,
tra il 1977 e il ’92, fece circa un milione di morti, si chiuse anche grazie
alla diplomazia italiana e, soprattutto, della Comunità di Sant'Egidio. Ora, le
vittime sono relativamente poche, ma l’insicurezza nel Paese è crescente. E
l’Italia s’è, fin qui limitata, almeno pubblicamente, a chiedere che cessino le
azioni militari.
A fine ottobre, decine di migliaia di mozambicani
hanno partecipato in varie località a una marcia per la pace nazionale.
Vent’anni e più dopo la fine della guerra civile, tornano a combattersi le
sigle mai sparite della decolonizzazione: il governo, controllato dal Frelimo,
riprende l’offensiva contro la Renamo, che rivendica una condivisione dei
guadagni derivanti dalle ricchezze minerarie, denuncia irruzioni militari nelle
sue basi e minaccia di stracciare l’accordo di pace.
Ai tavoli della diplomazia internazionale, il
Mozambico cerca di convincere i suoi interlocutori che non sta acquistando armi
–magari, gli stessi che, sotto banco, gliele stanno vendendo-, per evitare l’interruzione
degli aiuti, mentre sequestri e scontri frenano il turismo , proprio durante la
stagione delle vacanze australe.
Mondi lontani, storie lontane: Abdul è stato ucciso,
altri bimbi sono tornati a casa perché i genitori hanno pagato (e non hanno
avvertito la polizia); e Frelimo e Renamo tornano a combattersi… Noi, fin
quando un amico in ansia non ce lo racconta, viviamo senza manco il disagio di
saperlo: la crisi, Renzi, Vendola, la Cancellieri, i media hanno ben altro da
scrivere.
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