Pubblicato da Affari Internazionali il 13/11/2013
I concorrenti sono sui blocchi di partenza. Tutti tranne uno. Ma la
corsa potrebbe non scattare mai, se il Partito popolare europeo (Ppe) non manda
in pista il proprio campione. E la grande novità delle elezioni europee 2014,
concepita pure per stimolare la partecipazione e contrastare
l’euro-scetticismo, potrebbe restare incompiuta.
La designazione, da parte delle grandi famiglie politiche europee, di un
candidato alla presidenza della Commissione europea non equivale a un’elezione
diretta, ma è destinata a condizionare pesantemente le scelte dei leader dei
28, cui spetterà decidere - l’anno prossimo - quale successore di Manuel
Barroso proporre all'investitura del Parlamento europeo.
Ricco bottino
Nei criteri di valutazione dei leader, i fattori politici e quelli
nazionali s’intrecciano. E conta pure l’equilibrio degli incarichi. La posta in
palio nel 2014 è ricca con i posti di presidente del Consiglio, della
Commissione e del Parlamento europei, oltre che di ‘ministro degli esteri’,
cioè, a dirla tutta burocraticamente, l’alto responsabile per la politica
estera e di sicurezza comune. Senza contare, nell'orto vicino dell’Alleanza
atlantica, l’incarico di segretario generale.
Per l’Italia, che ha già Mario Draghi alla presidenza della Banca
centrale europea sarà difficile partecipare alla spartizione del bottino, anche
se Mario Monti ed Enrico Letta hanno profilo e titoli per puntare a succedere al
presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Nessun italiano ha poi mai guidato il
Parlamento eletto a suffragio universale. Sul fronte Nato, è in lizza l’ex
ministro degli Esteri Franco Frattini.
Popolari a carte coperte
Finora, solo il Partito socialista europeo ha già indicato un candidato alla
presidenza della Commissione: è Martin Schulz, il tedesco attualmente
presidente del Parlamento europeo –la nomination ufficiale avverrà in un
congresso a Roma all’inizio del 2014-. Gli altri partiti hanno tracciato un
percorso per giungere alla designazione. Tutti tranne i popolari, che nicchiano
e per ora giocano a carte coperte: non hanno un candidato e non si sono neppure
impegnati a darselo; se lo faranno, sarà non prima di un congresso a marzo.
Le considerazioni che frenano il Ppe sono essenzialmente due. La
speranza, fondata, di essere ancora il gruppo più forte nel prossimo Parlamento
e la certezza, quasi matematica, che i leader popolari siano maggioranza nel
Consiglio che sceglierà il successore di Barroso. A meno che euro-scettici e
populisti non spariglino i giochi, almeno nell'Assemblea, sfruttando a maggio
la disaffezione verso l’Europa degli elettori.
In attesa del Ppe, l’ultimo nome spuntato nel ‘toto Commissione’ è
quello del premier irlandese Enda Kenny, leader del Fine Gael, che potrebbe
essere il campione dei conservatori britannici. Per il momento Kenny è più
un’indiscrezione che una certezza.
Invece, la candidatura del greco Alexis Tsipras, leader
del partito di sinistra radicale Syriza, è un progetto ben avanzato: i leader
dei partiti del gruppo della Sinistra unitaria europea (Gue/Ngl) lo propongono per
il post-Barroso, ma la designazione dovrà essere confermata dal congresso in
programma a Madrid a metà dicembre.
In una nota del
partito, si legge: ''Syriza riunisce il popolo greco contro l'autoritarismo''
della troika, Tsipras sarebbe una voce “di resistenza e speranza contro le
politiche ultra-liberiste e contro la minaccia dell'estrema destra''. E
nonostante la Gue non creda che la scelta del presidente della Commissione da parte
dei partiti aiuti a democratizzare la politica europea, vuole comunque puntare
su un proprio campione. Ma gli italiani di Sel si smarcano: loro puntano su
Schulz.
Anche il gruppo dei liberal-democratici europei
(Alde) è in fase decisionale: momento cruciale, fine novembre, quando il
partito terrà una riunione a Londra e discuterà le candidature alla ‘nomination’.
In prima fila, ci sono l’ex premier belga Guy Verhofstadt, liberale fiammingo,
federalista convinto, e Olli Rehn, finlandese, attuale commissario europeo
all'economia e alla finanza. Rehn è una vecchia conoscenza italiana: dal 2009,
ci spulcia i conti per mestiere.
Requisito
indispensabile per essere un candidato dei liberal-democratici alla poltrona di
Barroso è avere l’appoggio di almeno due partiti di due diversi paesi Ue o di
almeno il 20% dei deputati del gruppo. Il 19 e 20 dicembre, i leader del
partito valuteranno i nomi sul tavolo e chiuderanno il lotto degli aspiranti
alla ‘nomination’. Alla scelta del candidato procederà un Congresso straordinario
a Bruxelles il 1° febbraio 2014.
I Verdi europei hanno appena lanciato primarie online per
scegliere i due finalisti alla nomination, su cui poi si pronuncerà un
congresso. Fra quelli in lizza alle primarie, l’italiana Monica Frassoni,
co-presidente del Partito verde europeo, e l’eurodeputato José Bové, un
agricoltore francese, già leader del movimento anti-globalizzazione.
Schulz in
campagna elettorale
Libero da pastoie interne al suo partito, Schulz è da mesi impegnato in una
frenetica campagna elettorale personale che l’ha già portato più volte in
Italia e pure in Vaticano, ricevuto in udienza dal Papa. L’idea è di avere
Francesco a Strasburgo prima della fine della legislatura. Il presidente del
Parlamento si batte per la crescita e il lavoro e critica la scelta del rigore,
denunciando, specie quando è in Grecia, i “misfatti” della troika. Ma tira il
freno a mano, quando si tratta di criticare la cancelliera tedesca Angela
Merkel.
Il nome di Schulz è pure entrato nei negoziati per la formazione della grande
coalizione tedesca: i socialisti lo vogliono blindare fin d’ora come
commissario tedesco, rendendo più difficile alla Merkel contrastarne poi
l’ascesa alla presidenza della Commissione a favore di un popolare non tedesco.
Pesa pure il fatto che la Germania non ha più avuto la guida dell’esecutivo
comunitario dagli anni 50, quando Walter Hallstein aprì la serie.
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