Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 21/11/2013 e come appunto per interventi radiofonici
Ci sono uomini, scienziati, filosofi, artisti, filantropi,
statisti, politici, santi, che lasciano un solco, nella storia dell’umanità. Ve
ne sono che aprono una via. John Fitzgerald Kennedy, 35.o presidente degli
Stati Uniti, ucciso a Dallas 50 anni fa esatti, il 22 novembre 1963, ha certo lasciato
un solco nella mia generazione e forse nella storia – ma i tempi della storia
sono troppo lunghi per poterlo dire con certezza fin da oggi -, ma ha
sicuramente aperto una via. Anzi, molte, centinaia di vie: solo in Italia,
almeno 1.327. Vuol dire che un comune italiano ogni sei circa ha una via, o una
piazza, intitolata al presidente della ‘crisi dei missili’ a Cuba con l’Urss
nel 1962 e dell’avvio della fine della segregazione.
Kennedy è il nome straniero più diffuso nella
toponomastica italiana: ci sono più vie, e piazze, Kennedy che non Napoleone, o
Washington, o Lincoln, o Roosevelt, limitandosi a personaggi il cui solco nella
storia è riconoscibile e la cui grandezza, magari controversa, è innegabile.
Meglio fanno praticamente solo i ‘quattro del Risorgimento’, Cavour, Garibaldi,
Mazzini e Vittorio Emanuele II – l’ordine è alfabetico -.
E Kennedy non è solo nome da strade, o da piazze:
molte scuole italiane –una cinquantina- e pure esercizi pubblici e negozi sono
intitolati al presidente ucciso. Il fenomeno acquista più rilevanza se si
considerano le 96 vie o piazze ‘Fratelli Kennedy’, dove Robert –ucciso a Los
Angeles nel 1968- è associato nella memoria a Jack, e le cinque dedicate al
solo Robert.
I dati vengono da una pubblicazione dell’Anci e
della Fondazione Italia-Usa presentata a Roma oggi. La Lombardia è la regione
dalla toponomastica più devota a Kennedy con 302 aree, il doppio della Puglia
(151). Terza la Sicilia (132). JFK batte tre a uno il presidente cileno Salvator
Allende, mentre la ‘top ten’ dei nomi stranieri delle nostre vie o piazze comprende
poi Martin Luther King –la fine tragica è un buon viatico-, Carlo Marx, Anna
Franck, Thomas Edison, Alessandro Fleming, Gandhi, Albert Einstein e Pablo
Picasso.
Una testimonianza, e una conferma, se ve ne fosse
bisogno, di come la parabola politica ed umana della meteora Kennedy abbia
colpito gli italiani e, in particolare, la generazione del dopoguerra, quegli
adolescenti degli Anni Sessanta –i Beatles e le minigonne, prima del Vietnam e
del ’68- che vissero come una speranza e un modello quel presidente giovane e
carismatico, con una moglie bella ed elegante. E l’alone di mistero intorno
alle circostanze tragiche della sua uccisione contribuì al suo mito: Roma gli
dedicò una piazza all’Eur appena cinque mesi dopo la sua morte, senza
attendere, come vuole la legge, che trascorressero dieci anni.
Inutile misurare l’infatuazione kennedyana di quegli
anni con le rivisitazioni storiche successive, con i ridimensionamenti veri o
presunti del personaggio e dell’uomo, con le rivelazioni di scandali, amicizie
compromettenti e tradimenti coniugali. Capita quasi a ogni generazione italiana
d’entusiasmarsi per un presidente americano: dopo Kennedy, fu –in misura
minore- Clinton e poi Obama. Clinton e Obama nel loro percorso hanno stemperato
le passioni ed gli entusiasmi; gli spari di Dallas consegnarono Kennedy al
mito. Nell'empireo della toponomastica.
Nessun commento:
Posta un commento