Scritto per Il Fatto Quotidiano del 08/06/2011
Quasi tre mesi di guerra nei cieli libici. Ma Muammar Gheddafi, dopo furiose ondate di attacchi Nato su Tripoli in pieno giorno, fa sentire la sua voce dalla tv di Stato e dice che intende restare in Libia “vivo o morto”. Il colonnello incita i suoi sostenitori: “Combatteremo fino alla fine”. I ‘crociati’ contro di lui “non potranno mai vincere: noi non abbiamo paura, siamo più forti dei vostri missili”, proclama il dittatore, che poreferisce “un milione di volte il martirio alla resa”. “Non ci sottometteremo mai –afferma ancora il rais-: le bombe mi cadono accanto, ma io sto ancora resistendo”: lui si’, ma i suoi fedeli a uno a uno lo ‘mollano’ (ultimo in ordine di tempo, il ministro del lavoro Amin Manfur).
La sortita di ieri è il primo intervento del dittatore dal 19 maggio, quando la tv libica lo mostro’ a colloquio con un emissario di ritorno da Mosca. Il ritorno di Gheddafi coincide con un’escalation della pressione militare dell’Alleanza atlantica: a ondate, 29 esplosioni scuotono la capitale libica in pieno giorno, come non era mai accaduto. Trema il centro della capitale e la zona di Bab al-Aziziya, dove c’è il bunker del rais e da dove si levano colonne di fumo. Mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico, riferisce la preoccupazione che “qualcosa possa accadere nei prossimi giorni”, perchè “la situazione a Tripoli non è calma”.
Sulla città, i raid della Nato sono ormai continui –lunedi’ era stato colpito il comando dell’intelligence militare e pure sedi della radio e della tv di Stato, che pero’ trasmettono ancora-. Nè gli sviluppi militari, dopo che i ribelli sono entrati a Yafran, nè quelli diplomatici appaiono, pero’, determinanti in questa crisi quasi insabbiata, con una linea del fronte sostanzialmente in stallo e dove nessuno ha la forza di vincere sul terreno. A Washington, il presidente americano Barack Obama, che ha accanto il cancelliere tedesco Angela Merkel, dice che la pressione su Gheddafi “aumenterà” fino a che il dittatore non si farà da parte. Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen sostiene che “il tempo di Gheddafi è alla fine” e che “bisogna pensare al dopo rais”.
Anche l’Ue ‘alza il tiro’ contro il regime: da ieri, le sanzioni sono state inasprite, contro, in particolare, sei porti sotto il controllo del regime. E ancora: la Svizzera precisa di avere bloccato averi libici per un importo quasi doppio di quanto finora stimato, mentre l’Algeria congela i beni del Colonnello. La Farnesina segnala “manifestazioni anti-regime anche a Tripoli, dove cresce il malcontento di chi vuole voltare pagina”: per Maurizio Massari, portavoce del ministero degli esteri, “il viaggio di Gheddafi si avvia al capolinea”.
Gheddafi manda un emissario a Pechino, dopo che inviati cinesi sono stati a Bengasi e mentre un diplomatico russo arriva nella capitale dei ribelli per vedere i leader del Consiglio nazionale transitorio. Mikhail Margelov deve “facilitare il dialogo tra le due parti”, anche se il ministro degli esteri di Mosca Serguiei Lavrov ripetuto che non c’è una “mediazione russa”: “Pensiamo che l’esito del conflitto dipenda dai libici”, dice.
Oggi e domani, a Bruxelles, i ministri della difesa dei Paesi della Nato si sentiranno chiedere dall’Alleanza “uno sforzo supplementare”, perchè le operazioni militari hanno certamente ridotto in modo drastico il potenziale militare del regime libico, ma non l’hanno portato al collasso –nè questo è il mandato della risoluzione dell’Onu che legittima il ricorso alla forza-. E domani, si riunirà ad Abu Dhabi il Gruppo di Contatto per la Libia, co-presieduto dal ministro degli esteri italiano Franco Frattini, che, verso il Golfo, fa tappa oggi in Iraq.
Una ridda di contatti senza che emerga con chiarezza una prosettiva di fine conflitto. E, nella tragedia libica, c’è pure spazio per la comica finale tutta italiana: Frattini, irritato dalle voci di nomina di Romano Prodi a inviato Ue, fa sapere di non saperne nulla e che “gli sforzi di interlocuzione con Tripoli devono essere il più possibile coordinati attraverso l’Onu”. E facciamoci del male, una volta di più.
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