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martedì 19 luglio 2011

Corno d'Africa: siccità e indifferenza minacciano 12 milioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/07/2011

Gli allarmi crescono d’intensità e di drammaticità giorno dopo giorno. Ma la risposta dei governi e dell’opinione pubblica internazionale resta distratta e inadeguata: nel Corno d’Africa, colpito da quella che è considerata “la peggiore siccità in quasi mezzo secolo”, 12 milioni di persone, secondo le stime della Fao, mancano di cibo e sono in una situazione critica. Con il Pam, il programma alimentare mondiale, e l’Oxfam, l’Agenzia dell’Onu per l’agricoltura ha lanciato la scorsa settimana un appello per aiuti internazionali.

La crisi umanitaria fa affluire in media quasi 1500 persone al giorno –e c’è chi parla del doppio, di 3000- dalla Somalia al campo profughi di Dadaab, in Kenya, che accoglie ormai 380 mila persone, mentre era stato allestito per ospitarne 90 mila. Da Nairobi, Action contre la faim, una Ong, denuncia la “catastrofe” della Somalia, dove 250 mila bambini soffrono già di malnutrizione. Nelle ultime settimane, c’è stata un’escalation nella drammatizzazione delle denunce, da crisi a emergenza a catastrofe. Papa Benedetto XVI ha espresso “profonda preoccupazione”, specie di fronte alla sofferenza anche dei più piccoli. E la Chiesa fa eco al dolore del Papa stanziando prime somme poco più che simboliche –prima 50mila euro, ieri 300mila la Caritas-.

Pure la comunità internazionale dà segnali di reazione, ma lo fa ancora in modo misurato e compassato, nonostante, a Ginevra, l’UnHcr stia organizzando “un enorme carico” di aiuti umanitari, con un ponte aereo verso la zona di confine tra Kenya e Somalia (tra l’altro, 600 tonnellate di tende in arrivo dal Pakistan e altri sei voli umanitari di qui alla fine del mese). In certe regioni della Somalia, dopo la lunga siccità sono arrivate forti piogge, che mettono anch’esse a repentaglio milioni di persone, specie anziani e bambini, troppo deboli per potersi muovere e mettersi in salvo.

In tempi di crisi ovunque, mentre in Europa avanza l’egoismo del ‘ciascuno per sé’, l’attenzione dei media e la mobilitazione dell’opinione pubblica non decollano. E i governi impegnati in missioni militari più o meno di pace e comunque onerose sul piano economico e delle vite perdute, dalla Libia all’Afghanistan, esitano all’impegno umanitario, in una Regione del Mondo che ha già vissuto precedenti cruenti. Per il momento, si va avanti a piccoli: mentre i ministri degli esteri dei 27 dell’Ue, riuniti ieri a Bruxelles, non hanno preso alcuna decisione, la Gran Bretagna ha promesso un aiuto d’urgenza di quasi 60 milioni di euro per le vittime della siccità nel Corno d’Africa, le popolazioni di Somalia, Etiopia, Gibuti, Kenya e Uganda. Ed il premier David Cameron, in visita nel Continente Nero, parla “del dramma più grave da una generazione in qua”, prima di accorciare la visita e rientrare a Londra per arginare le conseguenze dello ‘scandalo Murdoch’.

Se la Somalia è tra le priorità della politica estera italiana, come ha recentemente detto il sottosegretario agli esteri Alfredo Mantica, è l’ora di dimostrarlo. Mantica era in visita a Mogadiscio il 10 luglio e ieri rappresentava l’Italia a Bruxelles –il ministro Frattini non c’era-: ai colleghi, ha riferito della sua missione. Quello somalo, in particolare, è un quadro noto e fragilissimo: le istituzioni federali di transizione dovevano scadere il mese prossimo, ma sono state prorogate di un anno, all’agosto 2012. La situazione resta precaria: l’efficacia del percorso di stabilizzazione intrapreso dopo l’uscita di scena nel 1991 di Siad Barre e dopo l’operazione militare ‘Restore Hope’ del 1993, fino a mettere in piedi e a tentare di rafforzare istituzioni centrali e federali, non è ancora dimostrata. E ai contrasti tra le diverse etnie e le personalità politiche s’è ora aggiunta la devastante carestia, peggiorando le condizioni di sopravvivenza in un Paese, che, dopo vent’anni di guerra civile, vive in uno stato di conflittualità endemico. L’assetto costituzionale ipotizzato e basato sugli accordi di Gibuti del 2008 non è stato risolutivo, perché senza un processo di riconciliazione non c’è stata la legittimazione del governo di transizione.

Se i rapporti che legano l’Italia alla Somalia hanno origine dall’epoca coloniale, le questioni che rendono l’area prioritaria per la sicurezza internazionale sono la presenza della pirateria e la minaccia, ad essa in qualche misura collegata, del terrorismo internazionale, oltre alla posizione strategica del Paese in una Regione difficile, dove l’intervento militare, umanitario e di stabilizzazione, dell’operazione Restore Hope, voluta da Bill Clinton, è proseguito con l’impegno delle Nazioni Unite prima e dell’Unione africana ora, senza però portare al superamento dello stato di conflitto latente. Anzi, la Somalia è andata frammentandosi, laddove la presunta uniformità linguistica, religiosa e culturale della nazione somala non facevano presagire un destino di balcanizzazione. E che la drammaticità della situazione sia percepita dalle popolazioni locali lo dimostra il fatto che gli integralisti islamici shebab, che due anni or sono avevano quasi cacciato le organizzazioni umanitarie, ora ne patrocinano il ritorno”anche se non sono musulmane”.

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