Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/07/2011
Forse, Gheddafi, facendo la voce grossa, vuole solo coprire il brusio dei negoziati tra il regime e gli insorti. Ma certo l’ordine impartito ai suoi in un messaggio audio alla tv libica di “marciare su Bengasi” per “liberarla dai traditori” non ha nulla di conciliante. Insieme alla rottura con l’Eni, è la risposta del dittatore all’illusione francese di una ‘pace del 14 luglio’ e pure all’insistenza dei ribelli nel negare ogni soluzione politica, se lui resta al suo posto e in Libia. Mentre sul terreno il villaggio di Goualich passa e ripassa di mano tra lealisti e insorti, e mentre resta l’ombra di un transito d’armi dai ribelli ai terroristi di al Qaida –un timore avallato dall’intelligence americana-, i riti annunciati della diplomazia si consumano senza risultati tangibili. Anzi, il Gruppo di Contatto di Istanbul, assenti sia Russia che Cina, dà indicazioni contraddittorie: ci vuole una ‘road map’ per superare il conflitto, ma il ministro Frattini percepisce “una sensazione d’urgenza” per la fine delle operazioni militari che non è solo italiana. Ue e Nato, reduci da contatti al vertice con gli insorti, ribadiscono il sostegno a una “soluzione politica”, che però presuppone –insiste Washington- l’uscita di scena di Gheddafi, che “ha i giorni contati” –il ritornello stavolta lo canta Hillary Clinton-. E i civili che la Nato deve proteggere come se la passano? Il procuratore di Tripoli ne conta mille uccisi dai raid sulla capitale. La cifra sa di propaganda, ma anche solo uno è un peso intollerabile.
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