Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/07/2011
A due settimane dalla data ultima del 2 agosto, mentre si consumano senza esito le ore dell’opportunità data dalla Casa Bianca all’opposizione repubblicana (fino a lunedì, per un piano che riduca l’abissale deficit del bilancio Usa), Barack Obama chiama di nuovo l’opinione pubblica a testimone dell’esigenza di “un approccio equilibrato” e di “sacrifici condivisi” per risanare le finanze degli Stati Uniti. Tre conferenze stampa e due discorsi in una settimana dicono l’ansia del presidente per un’intesa.
Quello tra la Casa Bianca democratica e l’opposizione repubblicana, che ha la maggioranza alla Camera, è un braccio di ferro che si trascina, già in vista della campagna per le presidenziali dell’anno prossimo. Obama cerca un accordo ampio e bipartisan, i repubblicani non gli vogliono dare avalli, anche se corrono il rischio di apparire agli elettori come quelli che sabotano l’intesa.
E, per una volta, le agenzie di rating, che di solito, con le loro previsioni, fanno sconquassi in Europa, mettono sotto osservazione gli Stati Uniti: S&P giudica possibile un peggioramento della valutazione senza un’intesa sul debito. Per il primo presidente nero americano, è l’ennesimo momento difficile di questo suo primo mandato fatto di alti e bassi: la crisi e la ripresa, la riforma della sanità e la sconfitta nel voto di metà mandato del novembre scorso. Il successo dell’uccisione di bin Laden, nemico pubblico numero 1 della sicurezza americana, sembra già lontano e l’inizio del ritiro dall’Afghanistan non scalda i cuori, come l’emozione per l’incontro, ieri, alla Casa Bianca con il Dalai Lama, che è ben più forte a Pechino, dove diventa irritazione, che fuori dalla Beltway, il raccordo anulare della capitale federale.
Oltretutto Obama deve far fronte a una diaspora di collaboratori di primo piano, fisiologica a fine mandato, ma anticipata rispetto al solito: dopo il segretario alla difesa, Robert Gates, un repubblicano, sostituito da Leon Panetta, c’è voce di una defezione di Hillary Clinton, segretario di Stato, che sarebbe provata dalla ‘primavera araba’ imprevista nella genesi e imprevedibile negli sviluppi e che fa sapere d’essere “stanca” e d’avere in mente di ‘mollare’ l’anno prossimo.
Obama (come Napolitano) predica la coesione nazionale: “Facciamo in fretta e condividiamo i sacrifici”, tenendo però fermo il no a piani poco trasparenti e ancora meno equi, quelli dove paga la classe media e ci rimettono i più poveri per il deterioramento dei servizi. Il presidente cerca di serrare i tempi e usa immagini forti: evoca Armageddon, che, per gli americani, più che il luogo d’una profezia dell’Apocalisse, è un film di qualche anno or sono in cui un meteorite di tal nome minacciava la Terra e veniva fatto in pezzi e deviato, ovviamente in extremis, dal genio e dal coraggio dei cowboy dello spazio (i russi vi avevano un ruolo, ma da macchietta).
Quando dice che non c’è tempo da perdere, Obama non fa della retorica: il debito Usa aumenta ogni secondo di 40 mila dollari. Se s’arriva al 2 agosto, gli americani si troveranno sul groppone 59 miliardi di dollari in più. Una inezia, magari, sui 15mila miliardi di debito già accumulato, ma l’equivalente, comunque, della nostra manovra triennale ‘lacrime e sangue’. E, dietro la mancanza di accordo, c’è il rischio di un’altra recessione e di un rialzo della disoccupazione con milioni di cittadini in più senza lavoro. Davvero i repubblicani vogliono arrivare a questo, per ‘azzoppare’ il presidente e avere una chance di conquistare la Casa Bianca fra 15 mesi?
Obama batte quasi ogni giorno sullo stesso tasto. E, ieri, di nuovo, come una settimana fa, il presidente ha usato i quattro minuti del messaggio del sabato per dire agli americani come la pensa, quali sono i pericoli. La sua linea è costante: bisogna ridurre il peso del debito, mettere a posto i conti e, quindi, tagliare la spesa, ma anche chiedere ai più agiati di contribuire a una politica di rilancio della crescita e di sostegno dell’occupazione, che sventi il rischio di una ‘chiusura’ dell’Amministrazione –accadde già in passato, sia pure parzialmente- e quello, da Armageddon davvero, d’un ‘default’ degli Stati Uniti. Per questo, bisogna tenere su la fiducia del Mondo nella capacità americana di rispettare gli impegni e, soprattutto, ripagare i debiti: un film, questa volta, non basta.
domenica 17 luglio 2011
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