Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/10/2011
Mi stavo giusto chiedendo che fine avesse fatto l’Iran. Per mesi, il regime di Teheran era stato il cattivo del Mondo, con il suo programma nucleare a potenziale fini militari e poi le violazioni dei diritti umani, il caso Sakineh, impiccagioni, lapidazioni e frustate. Poi, la Primavera araba, il conflitto in Libia, la recrudescenza della crisi economica avevano cancellato quelle piste: l’Iran attivava le centrali –a fini civili-, ma nessuno se ne curava più. Fino a mercoledì, quando gli Stati Uniti sventano e svelano un complotto terroristico iraniano sul territorio americano, obiettivo l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti.
La notizia ideale per ricompattare rapporti un po’ traballanti nel Medio Oriente; fare contenti gli estremi che si toccano di quello scacchiere, Israele e Arabia saudita; ridare forza al coro l’ ‘Iran è cattivo’ cui in questo caso non s’oppongono neppure Russia e Cina –mica vogliono stare dalla parte dei terroristi-; e, infine, cominciare a inserire una nota di allarme e di minaccia alla sicurezza nazionale nella campagna presidenziale. Avviarsi al voto senza avere un nemico da cui guardarsi non è buona cosa per il presidente uscente, specie se, durante il suo mandato, s’è infilato due volte la coda fra le gambe, ritirando, pur con il consenso popolare, le truppe dall’Iraq e cominciando a ritirarle dall’Afghanistan, senza che questo significhi che quei due Paesi siano di molto migliori di come gli attacchi del 2001 e del 2003 li avevano trovati.
E tutto ciò senza rischiare alcun contraccolpo negativo: il rialzo di tensione con Teheran si riduce a scambi d’invettive a tutto svantaggio del regime iraniano, che non misura le parole sul metro occidentale, mentre non comporta di sicuro azioni militari, anche se il vice-presidente Biden, che afferma di volere “unire il Mondo contro l’Iran”, ripete la formula di rito in queste occasioni: “nessuna opzione è esclusa, neppure la militare”.
Una china su cui, ieri, s’è pure mosso il presidente Obama, denunciando “l’atteggiamento pericoloso” del Paese islamico: “Applicheremo contro l’Iran sanzioni più dure, perché venga sempre più isolato”. La Casa Bianca dice che il complotto che doveva portare all’uccisione dell’ambasciatore Adel al-Jubeir “è stato diretto da persone nel governo iraniano”; e il Dipartimento di Stato lo avrebbe contestato agli iraniani in contatti diretti. Accuse precise e una strategia della mobilitazione che coinvolge amici e alleati dell’universo mondo e che prevede anche un’allerta ai viaggiatori all’estero. Le repliche iraniane non fanno peso, anche quando parlano di uno “show” per fare dimenticare le difficoltà americane in questo momento.
La risposta è corale. L’Ue e l’Italia prospettano a Teheran “gravi conseguenze”. La Lega Araba e il Consiglio di cooperazione del Golfo condannano il presunto complotto, dando fede alla versione americana: “Sono atti che violano i valori religiosi e i principi umani e minano gli sforzi per la pace, la sicurezza e la stabilità in Medio oriente”, recita un comunicato dell’organizzazione pan-araba. Ovvia l’intenzione di Riad di chiedere all’Iran conto d’ogni azione ostile commessa ai suoi danni: il ministro degli Esteri saudita al-Faisal avverte, da Vienna: “Daremo a queste azioni la risposta che meritano” e "I tentativi dell’Iran di ricorrere agli omicidi e al caos non porteranno nulla di buono", perché Riad "non chinerà il capo".
In Israele, la vicenda si collega all’approvazione dello scambio di prigionieri con Hamas per ottenere, dopo cinque anni, la liberazione del caporale Shalit. La stampa ipotizza un intreccio da brividi con la ipotetica “minaccia nucleare iraniana” incombente. Molti si chiedono perché Netanyahu abbia avallato quello che appare un successo del braccio armato di Hamas. E lui, parlando alla nazione, spiega: “Credo che abbiamo ottenuto il miglior accordo possibile … Non so se in futuro avremmo potuto raggiungere un accordo migliore, o un accordo qualsiasi”.
Il premier evoca una “finestra di opportunità”, che potrebbe riferirsi a futuri scossoni della 'primavera araba’, dalle travagliate relazioni fra Hamas e il regime siriano al timore di avvicendamenti al potere in Egitto negativi per Israele. Ma Yediot Ahronot colloca le parole di Netanyahu nel contesto dei timori per i progressi dei progetti nucleari iraniani e della volontà di avere le mani libere per farvi fronte con ogni opzione possibile, dopo che il 'fattore Iran' era stato, all’inizio del mese, al centro dei colloqui in Israele del nuovo segretario alla Difesa Usa Leon Panetta, sfavorevole a un’azione militare unilaterale e preventiva.
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