Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/10/2011
Trovarlo, è stato difficile: ci sono voluti otto mesi d’insurrezione e combattimenti. Ammazzarlo è stato facile: roba di minuti, pochi. Seppellirlo è un bel problema. All’atto di ucciderlo, non c’era nessuno a intromettersi: fotografi e cameramen, sì, ma senza di loro la storia non si fa più. Adesso, invece, sotto gli occhi del Mondo, le cose bisogna farle come dio comanda (e che sia Allah non semplifica per nulla le cose).
Le circostanze della morte di Muammar Gheddafi sono già divenute un caso internazionale. Secondo il medico legale che ha esaminato il cadavere del colonnello dittatore, il decesso è sopravvenuto per un colpo d’arma da fuoco alla testa: un colpo da esecuzione, vien da pensare. Amnesty International, chiede un’indagine: se Gheddafi è stato ucciso a freddo, dopo la cattura, questo è “un crimine di guerra”, i cui responsabili andranno giudicati.
Il rais alla macchia sarebbe stato catturato vivo dai ribelli e sarebbe poi morto, non è chiaro se per le ferite già subite o perché colpito di nuovo. Il dottor Ibrahim Tika dice ad Al Arabiya: “Un proiettile è penetrato nell’intestino. Un altro è penetrato nella testa e ne è fuoriuscito”. Il dottor Tika ha pure esaminato la salma di Mutassim, il figlio di Gheddafi ucciso dopo il padre. Di un altro figlio, Saif al Islam, il Cnt annuncia la cattura: era l’ultimo di cui s’ignorava la sorte.
Il cadavere, custodito e fotografato a Misurata, costituisce, adesso, un impiccio: meno grosso, certo, di quanto sarebbe stato un Gheddafi prigioniero e ben vivo, perché di questa salma prima o poi ci si libererà. Ma si tratta, appunto, di decidere come e dove seppellirlo. Nell’attesa, il corpo è in una cella frigorifera di un vecchio mercato: lì l’ha visto un giornalista della Reuters, insieme al capo del Cnt Jibril, famiglie con bambini, una scolaresca delle medie.
Gli americani con Osama bin Laden l’avevano pensata bene: sepoltura in mare, dove nessuno mai potrà andare a ripescarne il corpo per farne oggetto di venerazione. Forzando la tradizione islamica, che vuole che la sepoltura avvenga nel giro di 24 ore, le autorità libiche tergiversano. Ali Tarhouni, ministro del petrolio, uno che non c’entra nulla, annuncia: “Lo terremo nel congelatore fin quando tutti sappiano che è morto”. Come se ci fosse ancora qualcuno, in Libia e altrove, che lo ignori.
Poi, l’indicazione viene corretta: la sepoltura avverrà entro oggi, forse è già avvenuta, ma se ignora se a Sirte, a Misurata o altrove. Abdul-Salam Eleiwa, comandante degli insorti a Misurata, assicura che i riti e i precetti dell’Islam saranno rispettati: il corpo sarà lavato e trattato con dignità. Contatti sarebbero in corso con la tribù di Gheddafi, l’unico soggetto legato al defunto che possa farsi carico delle esequie, in assenza di familiari, tutti o fuggiti o uccisi, di altri parenti o di vicini. Se gli anziani di Qaddafia non riconoscessero il rais morto come loro membro, saranno gli insorti a provvedere alla sepoltura: con il dittatore, saranno inumati gli armati che erano con lui e che sono stati uccisi nello scontro.
Nel tempo di un funerale, l’Alleanza atlantica liquida una guerra: il comandante supremo Nato, l’ammiraglio James Stavridis, chiede “la fine della missione” in Libia al Consiglio atlantico riunitosi al quartier generale di Bruxelles. L’ammiraglio lo anticipa sulla sua pagina di Facebook: ''24 ore straordinarie in Libia –scriveStavridis nel suo post - … raccomando al Consiglio Atlantico la fine di questa missione. E’ un buon giorno per la Nato. E un grande giorno per il popolo libico”.
Un giorno che Obama sceglie per dichiarare finita la guerra in Iraq: otto anni e mezzo là, otto mesi e basta qui in Libia. Solo i russi, sempre contrari all’intervento contro Gheddafi, fanno i guastafeste: il ministro degli esteri Serguei Lavrov nota che il convoglio del colonnello non minacciava nessuno, quando la Nato l’ha attaccato. Un’azione illegittima, dunque. E un crimine di guerra l’uccisione.
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