In questa crisi
nell’Estremo Oriente, la Corea del Nord è come una casa senza finestre e senza
tetto: non sa praticamente nulla di quello che succede fuori dai suoi confini,
tranne quello che le dicono i suoi ‘nemici’; e, invece, i suoi antagonisti possono
sapere tutto o quasi quello che succede sul suo territorio: movimenti di
truppe, spostamenti di mezzi, installazione di missili sulle rampe.
Oltre al
disequilibrio d’efficacia degli arsenali in campo, c’è pure questo dato a
rendere impari e improbabile la sfida di Pyongyang al resto del Mondo, tanto
più che persino la Cina ha preso le distanze dalla retorica bellicista del
vicino fino a poco tempo fa protetto.
Il segretario
alla difesa Usa Chuck Hagel, un repubblicano ‘convertito’ a Barack Obama, ha detto
che è pericoloso sbagliarsi sulla serietà delle minacce: “Basta un solo
sbaglio. E io non voglio essere il segretario alla Difesa che si sbagliò una
volta”. Per non commettere errori, Hagel ha molti strumenti a sua disposizione:
satelliti spia, ricognitori con o senza equipaggio (i droni), la buona vecchia
intelligence e i sismografi per ‘vedere’ che cosa accade sotto terra (ad
esempio, proprio gli esperimenti nucleari).
Queste sono
alcune delle valutazioni che avrebbero indotto l’Amministrazione americana a
non applicare alla lettera il copione delle risposte alle provocazioni: c’è il
rischio che, mancando d’informazioni precise, il regime di Pyongyang
sopravvaluti le mosse difensive di Washington e di Seul e finisca per agire in
preda al panico.
L’errore cui
Hagel fa riferimento può infatti avere segni opposti: o una sottovalutazione
della minaccia, per evitare la quale gli Stati Uniti stanno, ad esempio,
spiegando, avanzando e rafforzando i sistemi antimissile di cui dispongono; o una
sopravvalutazione della stessa, mettendo nell’angolo il ‘nemico’ e inducendolo
a mosse disperate.
Cero, alcune
delle minacce nordcoreane inducono all’ironia, più che alla preoccupazione, gli
stessi cittadini americani: impazzano, su twitter, i messaggi ‘perché Austin?’,
dopo che Pyongyang ha incluso fra gli obiettivi primari di un suo attacco la
capitale del Texas, che non pare costituire un centro strategico significativo.
A parte
l’assoluta improbabilità di raggiungere un obiettivo così lontano: la Corea del
Nord dispone d’un tipo di missile della portata presunta di 10 mila chilometri
e di altri sistemi della portata presunta di 3/4mila chilometri –potrebbero
raggiungere Guam, nel Pacifico-, ma o non sono stati testati o, se lo sono
stati, non hanno dato risultati positivi. E non è neppure certo che la
tecnologia nordcoreana consenta di miniaturizzare le ogive nucleari per
montarle sui vettori.
Sulla carta, nei
numeri, gli arsenali militari del Nord e del Sud sono confrontabili. Anzi, il
Nord possiede quasi il doppio degli uomini in armi del Sud e ha 5000 tonnellate
di armi chimiche. Ma, senza volere contare i rinforzi americani a disposizione
del Sud, gli esperti generalmente ritengono che gli armamenti nord-coreani
siano in larga parte antiquati, obsoleti e inefficienti per mancanza di pezzi
di ricambio.
La maggior parte
degli analisti americani e sud-coreani o giapponesi escludono, dunque,
l’ipotesi di un olocausto nucleare. Ma resta la possibilità di un incidente di
frontiera, come avvenne nel 2010, quando il Nord bombardò l’isola di Yeonpyeong,
facendo quattro morti. Allora, la reazione del Sud fu morbida. Oggi, Seul
assicura una “risposta severa”; e, inoltre, un trattato firmato il mese scorso
prevede, in tal caso, una reazione congiunta Usa – Corea del Sud.
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