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venerdì 5 aprile 2013

Corea: il Nord come una casa senza finestra e senza tetto

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 05/04/2013

In questa crisi nell’Estremo Oriente, la Corea del Nord è come una casa senza finestre e senza tetto: non sa praticamente nulla di quello che succede fuori dai suoi confini, tranne quello che le dicono i suoi ‘nemici’; e, invece, i suoi antagonisti possono sapere tutto o quasi quello che succede sul suo territorio: movimenti di truppe, spostamenti di mezzi, installazione di missili sulle rampe.

Oltre al disequilibrio d’efficacia degli arsenali in campo, c’è pure questo dato a rendere impari e improbabile la sfida di Pyongyang al resto del Mondo, tanto più che persino la Cina ha preso le distanze dalla retorica bellicista del vicino fino a poco tempo fa protetto.

Il segretario alla difesa Usa Chuck Hagel, un repubblicano ‘convertito’ a Barack Obama, ha detto che è pericoloso sbagliarsi sulla serietà delle minacce: “Basta un solo sbaglio. E io non voglio essere il segretario alla Difesa che si sbagliò una volta”. Per non commettere errori, Hagel ha molti strumenti a sua disposizione: satelliti spia, ricognitori con o senza equipaggio (i droni), la buona vecchia intelligence e i sismografi per ‘vedere’ che cosa accade sotto terra (ad esempio, proprio gli esperimenti nucleari).

Queste sono alcune delle valutazioni che avrebbero indotto l’Amministrazione americana a non applicare alla lettera il copione delle risposte alle provocazioni: c’è il rischio che, mancando d’informazioni precise, il regime di Pyongyang sopravvaluti le mosse difensive di Washington e di Seul e finisca per agire in preda al panico.

L’errore cui Hagel fa riferimento può infatti avere segni opposti: o una sottovalutazione della minaccia, per evitare la quale gli Stati Uniti stanno, ad esempio, spiegando, avanzando e rafforzando i sistemi antimissile di cui dispongono; o una sopravvalutazione della stessa, mettendo nell’angolo il ‘nemico’ e inducendolo a mosse disperate.

Cero, alcune delle minacce nordcoreane inducono all’ironia, più che alla preoccupazione, gli stessi cittadini americani: impazzano, su twitter, i messaggi ‘perché Austin?’, dopo che Pyongyang ha incluso fra gli obiettivi primari di un suo attacco la capitale del Texas, che non pare costituire un centro strategico significativo.

A parte l’assoluta improbabilità di raggiungere un obiettivo così lontano: la Corea del Nord dispone d’un tipo di missile della portata presunta di 10 mila chilometri e di altri sistemi della portata presunta di 3/4mila chilometri –potrebbero raggiungere Guam, nel Pacifico-, ma o non sono stati testati o, se lo sono stati, non hanno dato risultati positivi. E non è neppure certo che la tecnologia nordcoreana consenta di miniaturizzare le ogive nucleari per montarle sui vettori.

Sulla carta, nei numeri, gli arsenali militari del Nord e del Sud sono confrontabili. Anzi, il Nord possiede quasi il doppio degli uomini in armi del Sud e ha 5000 tonnellate di armi chimiche. Ma, senza volere contare i rinforzi americani a disposizione del Sud, gli esperti generalmente ritengono che gli armamenti nord-coreani siano in larga parte antiquati, obsoleti e inefficienti per mancanza di pezzi di ricambio.

La maggior parte degli analisti americani e sud-coreani o giapponesi escludono, dunque, l’ipotesi di un olocausto nucleare. Ma resta la possibilità di un incidente di frontiera, come avvenne nel 2010, quando il Nord bombardò l’isola di Yeonpyeong, facendo quattro morti. Allora, la reazione del Sud fu morbida. Oggi, Seul assicura una “risposta severa”; e, inoltre, un trattato firmato il mese scorso prevede, in tal caso, una reazione congiunta Usa – Corea del Sud.

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