Un presidente che sappia d’Europa. In
tutti i sensi. Un presidente, cioè, che conosca l’Unione, le sue regole e i
suoi meccanismi. Un presidente che abbia la visione dell’integrazione, meglio se
in una prospettiva federale. Un presidente che sia stimato dai partner europei
-oltre che transatlantici- per quello che ha fatto e per come l’ha fatto.
Sono elementi dell’identikit
del nuovo presidente della Repubblica italiana, partendo dalla convinzione, che
è un dato di fatto, della centralità della questione europea per il prossimo
governo e per la prossima legislatura –questa, se avrà vita propria, o la prossima,
se questa si ridurrà solo ad una falsa partenza-.
Non c’è dubbio che fra
i molti nomi che vengono evocati in questi giorni, dove è spesso difficile
distinguere tra candidature vere e proprie, tentativi di bruciatura e ‘ballons d’essai’, alcuni hanno quel
‘profumo d’Europa’ che noi cerchiamo. Due su tutti: Romano Prodi ed Emma
Bonino, perché hanno esperienze europee –sono stati l’uno presidente della
Commissione e l’altra commissaria-, perché non hanno mai abiurato la scelta
dell’integrazione –Prodi portò l’Italia nell’euro, la Bonino ha una radicata
visione federalista- , perché godono di rispetto e di stima in Europa (e si sono
fatti pure rispettare e stimare in America).
Prodi e la Bonino non
sono i soli ad avere queste caratteristiche, che non sono, del resto, le uniche
in base a cui valutare. E fra i tanti citati ve ne sono altri meritevoli di
considerazione e d’apprezzamento e validi dal punto di vista europeo: Giuliano
Amato, uomo d’acume e d’intelligenza, fu vicepresidente della Convenzione
europea che contribuì a disegnare l’attuale architettura istituzionale Ue; e
Mario Monti è stato commissario europeo per due mandati e, come presidente del
Consiglio, s’è guadagnato credito e credibilità nei Vertici europei, anche se
le sue ultime scelte politiche possono averlo messo fuori gioco per il
Quirinale.
Il Parlamento riunito
in sessione congiunta con i rappresentanti delle Regioni comincerà le votazioni
giovedì: per i primi tre scrutini, ci vorrà la maggioranza dei due terzi del
collegio elettorale (671), dopo basterà
la maggioranza assoluta (504). Sommando i 620 deputati, i 319 senatori –quattro
quelli a vita, ma Carlo Azeglio Ciampi difficilmente sarà in aula- e i 58
delegati scelti dalle regioni, i grandi elettori sono, infatti, 1007 in tutto. Nessuna
componente politica ha, neppure sulla carta, la forza di farcela da sola, anche
se il centro-sinistra, vede, secondo i calcoli più accreditati, quota 500.
Le votazioni dovrebbero
procedere due al giorno. E, in corso d’opera, le sorprese non sono escluse.
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