Ai Saggi come Salvatori della Patria, non ci crede nessuno. In Italia.
Figuriamoci all’Estero. Dove cronache e analisi della situazione politica
italiana post-voto hanno fin qui avuto un solo filo conduttore: “Si fa il
Governo?, e chi lo fa?, e per che fare?”. In attesa che s’accantoni il Governo
e ci s’appassioni alla corsa al Quirinale. Tutto il resto appare fuffa: ci
capiamo poco noi, figuriamoci chi ci segue da lontano.
Per cui, anche i media più attenti si affidano ai luoghi comuni. Come il
Financial Times, che ripropone l’immagine della politica come bomba ad
orologeria che rischia di fare saltare l’Italia (e, magari, non solo). O Die
Zeit, che interpreta la nomina dei Saggi come un’ennesima riproposizione del
Gattopardo (“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, allora bisogna che tutto
cambi”), salvo poi sentenziare che “non salveranno l’Italia” perché sanno di
vecchio. Che è poi la conclusione cui giunge pure la cNbc, mentre Die Welt si
ferma un passo prima, alla constatazione che i dieci Saggi raccolgono solo
“rabbia e sfiducia”: a Napolitano, “invece degli elogi arrivano le critiche”.
Certo, quell’entità impersonale che definiamo “i mercati” mostrano, per
ora, indifferenza all’Italia: lo spread sarà pure al punto più alto da dicembre
–si allarma oggi Les Echos-, ma resta lì dal voto, punto più, punto meno. Le
istituzioni internazionali fanno melina e, a volte, fanno pure confusione, come
nella vicenda del peso sul deficit dei pagamenti della P.A. E i media esteri si
rifugiano spesso nel corner della banalità: lo spagnolo Abc ci ricorda –bontà
sua- che “la crisi politica è un’occasione d’oro per riformare a fondo le
istituzioni” (sai quante ne abbiamo avute d’occasioni del genere, nella nostra
storia repubblicana) .
Eppure, c’è chi ci prende prima degli altri (e, magari, anche prima di
molti media nostrani, al netto, naturalmente, della buona fede). A Pasqua, mentre la
stampa italiana era ancora divisa tra l’ipocrita “Ma che bella trovata!, Signor Presidente” e
lo schietto “Ma a che serve?”, lo Spiegel già commentava: la nomina dei Saggi è
"un'ammissione di incapacità per la classe politica". E il Washington
Post, imbeccato da un dispaccio dell’Ap, dubitava che “dieci Saggi possano fare
quello che i politici non sono riusciti a fare, trovare in fretta una formula
per formare il governo”.
Il prossimo passo è che i media esteri capiscano che il governo
non lo stiamo più cercando di fare: finito il giochino, adesso si cerca un
nuovo presidente. Il lavoro dei Saggi addobba l’attesa: riempie il presente, se
non rischiara il futuro.
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