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giovedì 4 aprile 2013

Ungheria: in fuga da Orban come dai carri Urss, nuovo esodo magiaro

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 04/04/2013

Viktor Orban, presidente ungherese, ama più il calcio –è tifoso del Milan- che la democrazia: lui, che a 50 anni presto suonati scende ancora in campo, dribbla gli strali della Commissione europea alle sue riforme costituzionali liberticide (non gli sta molto a cuore, ad esempio, il pluralismo dell’informazione). Ma i cittadini ungheresi dribblano lui, euro-scettico se ce n’è uno e nazional-populista, profittando della libertà di circolazione che l’appartenenza all’Ue dal 2004 garantisce loro.

Héti Vilàggazdasàg, giornale economico ungherese, stima a 500 mila gli ungheresi che, da quando Orban è al potere per la seconda volta, hanno lasciato il proprio Paese: il 5% della popolazione (gli ungheresi non sono neppure 10 milioni, su una superficie che è un terzo dell’Italia), il 12% della forza lavoro. Se ne vanno i giovani e quelli che hanno una qualificazione professionale.

Mezzo milione: più del doppio rispetto ai circa 200 mila ungheresi che fuggirono dal Paese dopo che, nell’autunno del 1956, i carri sovietici schiacciarono l’insurrezione popolare anti-comunista. Certo, allora, la scelta degli esuli fu molto più drammatica: fra di loro, c’erano alcuni campioni della nazionale magiara che solo due anni prima, in Svizzera, aveva sfiorato il titolo mondiale, sconfitta in finale dalla Germania allora Ovest. Puskas, Kubala, Szabo furono le vedettes di quella ‘fuga verso la libertà’.

Oggi, e da molto tempo ormai, l’Ungheria non produce più giocatori di classe. E questa non è solo  un’emigrazione politica, ma è anche una scelta economica. Le autorità di Budapest, che non hanno il mito della trasparenza, ridimensionano il fenomeno: non mezzo milione, ‘appena’ 170mila, il che vorrebbe comunque dire tanti quanti nel 1956.

In questo contesto, fa sorridere che, proprio oggi, il ministro degli esteri Janos Martonyi abbia detto che “è interesse condiviso di tutte le nazioni che le minoranze etniche si sentano a casa loro dove vivono”. Orban e i suoi coltivano il mito della Grande Ungheria e irritano i Paesi vicini, specie Slovacchia e Romania, facilitando l’accesso alla nazionalità ungherese agli ungheresi che vivono fuori dai confini nazionali; però, a conti fatti, il regime attrae meno ungheresi dall’estero di quanti non ne induca a lasciare la madre patria.

Orban, premier giovanissimo dal 1998 al 2002, poi rieletto nel 2010, non è solo nel mirino dell’Ue: l’Onu gli rimprovera l’inasprimento della legge contro i senzatetto, nonostante le misure siano state bocciate dalla Corte Suprema; e l’Fmi contesta l’ingerenza “accresciuta” del governo nelle scelte degli imprenditori, col risultato che gli investimenti non sono mai stati così bassi da 10 anni in qua e che la recessione non è agli sgoccioli, mentre la disoccupazione è nella media europea. E persino gli intellettuali prendono le distanze dalla cultura ‘pro Orban’: due rappresentazioni  d’un regista vicino al premier, Attila Vidnyanszky, sono state annullate a Strasburgo, dopo vivaci polemiche.

Eppure, i sondaggi indicano che gli ungheresi che restano in patria potrebbero rieleggere Orban l’anno prossimo, anche a causa delle divisioni nell’opposizione di sinistra che non riesce a trarre consensi dalla profonda insoddisfazione in un Paese colpito dalla recessione e il cui governo non rispetta gli standard democratici europei.

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