Dopo Napolitano, ancora Napolitano: la politica italiana
ricorre alla sua ‘vecchia’ bussola europea, per uscire dal marasma in cui
l’hanno precipitata i risultati delle elezioni politiche dello scorso febbraio
e l’incapacità dei partiti e dei leader di soddisfare sia l’esigenza di formare
un governo che l’imperativo di scegliere un presidente.
Sulla
conferma del presidente uscente, un inedito nella storia dell’Italia repubblicana,
il consenso è largo e rapido: più un sospiro di sollievo che una trovata di
genio. Così, almeno una è fatta: c’è un presidente che, alla bisogna, può
sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, perché ne ha il potere.
Che,
poi, forse non ce ne sarà neppure bisogno, se –come si dice- la convergenza sul
nome di Napolitano prefigura già un’intesa per un governo delle larghe intese,
che avrebbe la maggioranza e un programma di riforme magari essenziale su cui
andare avanti per un po’. Almeno fin quando non sia passata –potrebbe essere il
disegno- l’ondata d’insofferenza popolare per questi leader politici che la
vicenda presidenziale non ha certo attenuato, ma ha anzi accresciuto.
Giorgio
Napolitano, 87 anni, viene rieletto al sesto scrutinio, con una quantità di
voti, 738, nettamente superiore alla maggioranza assoluta dei Grandi Elettori
necessaria (504 su 1007). Non l’hanno dichiaratamente votato i ‘grillini’ e
Sel, che hanno ancora puntato su Stefano Rodotà, e, nell’area di centro-destra,
Fratelli d’Italia, oltre a franchi tiratori sparuti, non certo efficaci come lo
erano stati giovedì per fare saltare la candidatura dell’inciucio di Franco
Marini, scelto da Silvio Berlusconi in una rosa propostagli da Pierluigi
Bersani, e venerdì per fare saltare quella che doveva essere la candidatura
dell’ ‘orgoglio Pd’ di Romano Prodi.
Se
uno cercasse di costruire un grafico di queste giornate, specie dell’atteggiamento
del Pd, gli verrebbe fuori una linea a zig-zag: prima, alla ricerca d’un’intesa
con i ‘grillini’, nei giorni del tentativo di formare un governo, chiudendo la
porta a un’intesa con il Pdl; poi, alla ricerca di un accordo con Berlusconi
sul presidente, sbattendo la porta in faccia ai ‘grillini’ che pure candidavano
l’ex presidente del partito precursore del Pd, il Pds, Rodotà; poi alla ricerca
del colpo di forza su un candidato di bandiera; infine, a ricucire la grande
coalizione per sconfessare la quale s’è andati alla fine precipitata del
governo Monti e al voto.
Tutto
questo nulla toglie alla valenza, europea e pure internazionale, della conferma
di Napolitano, cui, fra i primi, sono giunte le congratulazioni del presidente
della Commissione europea José Manuel Durao Barroso e di altri leader
dell’Unione. Napolitano è uomo dalle sicure e forti convinzioni europeiste
–prima di diventare presidente, guidava il comitato italiano del Movimento
europeo- ed è divenuto, nei momenti più difficili dell’ultimo governo
Berlusconi, un punto di riferimento per i leader europei e pure americani, che
hanno visto in lui un elemento di continuità dell’affidabilità dell’Italia come
paese europeista ed atlantico. Elemento di continuità che viene ora esaltato
dalla rielezione, anche se essa avviene sulle macerie di un sistema politico
mostratosi incapace, dopo le elezioni, di azzeccarne una.
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