Herman van Rompuy, presidente del Consiglio europeo,
un belga che compone haiku, la ricorda con parole neutre: la signora Thatcher –dice-
“è stata una personalità notevole e uno dei più influenti leader europei dei
suoi tempi. Negli 11 anni del suo governo, la signora Thatcher rappresentò una
forza di trasformazione in Gran Bretagna e fu ugualmente rilevante nel plasmare
l’agenda europea”. Termini misurati, ma che non ne rendono a pieno la
personalità senza chiaroscuri e l’incidenza sulle vicende comunitarie –allora,
si diceva ancora così- e internazionali degli Anni Ottanta. Gli Anni di Ronald
Reagan, ma anche quelli di Margaret Thatcher.
Per un quinquennio, in Europa non si mosse foglia
perché la Thatcher anteponeva a ogni decisione la pregiudiziale del rimborso
britannico, cioè della riduzione dello squilibrio tra quanto Londra versava
alle casse della Cee e quanto ne otteneva. Il compromesso, trent'anni dopo
essere stato definito, è tuttora operativo a beneficio della Gran Bretagna.
Van Rompuy dice: “Uno dei più influenti leader
europei dei suoi tempi”. A leggerlo senza pensarci non pare neppure un
complimento, se si pensa a chi siede oggi intorno al tavolo dei Vertici. Prima
e quasi sempre unica donna, la Thatcher però dovette confrontarsi per quasi
tutto il suo tempo con François Mitterrand ed Helmut Kohl, due tipi tosti, che
per di più andavano mano nella mano verso l’Unione europea e che non
condividevano il suo liberismo; e poi arrivano pure Felipe Gonzalez e Mario
Soares, due icone della democrazia riconquistata nella penisola iberica.
L’Italia, come sempre, cambiava spesso:
si trovò a trattare con il più thatcheriano dei nostri politici Bettino Craxi,
la cui durezza era più arroganza che fermezza, e con il meno thatcheriano di
tutti, Giulio Andreotti.
La “Lady di Ferro che ha cambiato il Mondo” è il
tributo ricorrente dei media e dei leader, quelli che le sopravvivono e quelli
che mai l’incrociarono. Lo dice di lei anche Romano Prodi, che però aggiunge: la
sua rivoluzione liberista ha portato "all'aumento delle differenze fra
ricchi e poveri" ed ha "certamente aiutato e forse provocato" la
crisi economica mondiale. Un giudizio condivisibile, ma che suona un po’ crudo
e che, comunque, chiama in causa anche quanti vennero dopo i ‘dioscuri della
deregulation’, la Thatcher e Ronald Reagan: alla fine degli Anni Ottanta il
liberismo trionfava, vinceva persino la Guerra Fredda. Per evitarne i
contraccolpi più dannosi e disinnescare la spirale della globalizzazione, ci
sono poi stati circa vent’anni, prima
della crisi del 2008.
Liberista ed anti-europeista, la Lady di Ferro ha
fatto di questi due credo l’ago della bussola d’ogni sua scelta politica: disse
sì al mercato unico europeo, perché realizzava la sua visione mercantilista
dell’integrazione, ma, poco prima di lasciare, scandì ai Comuni tre volte “no”
ai progetti europeisti di Jacques Delors. La rigidità ideologica non le impedì,
però, qualche intuizione di rara perspicacia: intervistata dalla Bbc nel
dicembre 1984, disse “Mi piace il signor Gorbaciov, possiamo fare affari
insieme”. In quel momento, Michail Gorbaciov non era ancora il leader
dell’Urss, ma la Thatcher lo aveva già scelto come interlocutore.
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