Anche Roma è stata, ieri, per un giorno, una piazza dell’indipendenza catalana: non che i circa 500 tifosi ‘blaugrana’ arrivati per la sfida di Champions fossero paragonabili alla folla di 500.000, secondo il governo spagnolo, o di un milione e quasi mezzo, secondo la polizia locale, che venerdì 11 ha partecipato a Barcellona alla marcia per chiedere la secessione della Catalogna. Ma molti fra i tifosi erano indipendentisti convinti.
Certo, lo sport, e il calcio, in particolare, che dello
sport catalano è l’alfiere massimo, con la squadra a più riprese campione del
Mondo, s’è spesso schierato per l’indipendenza: esempi, Peg Guardiola, che ora
allena in Germania, e pure Piqué, che gioca in Nazionale, ma tifa Catalogna.
A dieci giorni dalle elezioni regionali del 27 settembre, le
liste indipendentiste, nei sondaggi, sono avanti: avrebbero la maggioranza
assoluta dei seggi, sfiorando i 70, ma non dei voti, fermandosi sotto la soglia
del 45%.
In occasione della festa nazionale catalana della Diada, venerdì
scorso, i manifestanti hanno invaso la Meridiana, il lungo nastro di 5 chilometri
che attraversa Barcellona, sventolando le bandiere (guarda caso) giallorosse
della Catalogna al grido di "Via Liuvre a la Republica Catalana"
(cioè, via libera alla Repubblica catalana).
E la via, in effetti, si aprirebbe se il presidente catalano
uscente, l’indipendentista Artur Mas, riuscirà a trasformare il voto del 27 in
un plebiscito per la secessione. Quella dell’11 è stata la quarta
maxi-manifestazione indipendentista negli ultimi quattro anni.
Che, poi, non sarebbe proprio così. Il premier di Spagna Rajoy,
un popolare, ha già fatto sapere, forte di un parere della Corte Suprema, che
la Costituzione vieta la secessione d’una regione e che lui, quindi, non
riconoscerà mai l'indipendenza della Catalogna. Mas, invece, progetta un
processo di secessione, che sfoci, in 18 mesi al massimo, in una dichiarazione d’indipendenza
unilaterale.
Il referendum in Scozia ha già dimostrato che la via della
secessione nel cuore dell’Ue è complicata e controversa. Ma le tensioni
dell’immigrazione e l’inefficienza dell’Unione, oltre che degli Stati
nazionali, a risolvere i problemi gonfiano le vele dell’anti-politica e
alimentano le spinte a costruire piccole fortezze etnico-linguistiche,
nell’illusione che esse possano meglio resistere alle pressioni della storia e
della globalizzazione.
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