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mercoledì 9 settembre 2015

Siria: il ruolo pro-Assad della Russia tra intervento e diplomazia

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 09/09/2015

La diplomazia chiede dialogo fra gli attori principali della crisi siriana, Iran e Arabia Saudita, Usa e Russia: coppie che si parlano a stento, di questi tempi. Staffan de Mistura, inviato speciale dell’Onu per la Siria, vede poco spazio per l’Europa, al di là delle velleità di escalation militare di Parigi e Londra e della disponibilità all’aiuto umanitario di Germania e molti altri Paesi. "Se i quattro Stati che hanno più influenza dialogano, il conflitto può essere risolto in un mese" –una previsione eccezionalmente ottimista, dopo quattro anni e mezzo di conflitto, 250 mila vittime e una manciata di milioni di rifugiati-. Altrimenti "l'unico ad avanzare sarà il Califfato", "ormai vicino a Damasco", mentre "i siriani continueranno a fuggire a decine di migliaia", con il "rischio che parta un milione di persone da Latakia, sul mare".

Già proprio da Latakia, dove i russi, che magari parlano poco con gli americani, ma si danno molto da fare, hanno il loro bastione, militare e non solo. Senza bisogno d’annunci in pompa magna, stile Hollande, truppe e jet russi starebbero già combattendo in Siria al fianco delle forze del loro alleato Bashar al-Assad, il cui controllo del territorio non sarebbe neppure più saldo sulla fascia costiera.

L’azione russa sarebbe rivolta contro tutti i gruppi, le milizie jihadiste, i qaedisti del fronte al Nusra e pure l’opposizione moderata, e un po’ impalpabile sul terreno, del Libero Esercito Siriano. Ma pure la coalizione occidentale, che con qualche supporto islamico attacca le postazioni del Califfato fa un favore al regime di Assad, indebolendone il peggiore nemico.

Per questo, la mossa russa, argomentava nei giorni scorsi la stampa britannica più autorevole, potrebbe non dispiacere agli Stati Uniti e ai loro alleati, anche se le fonti del Dipartimento di Stato esprimono preoccupazione per i rapporti di intelligence secondo cui Mosca s’appresta a inviare centinaia di addestratori e di soldati a sostegno del regime di Assad.

Ci sono indicazioni che i russi starebbero installando una base, in un aeroporto nei pressi di Latakia: hanno costruito una torre di controllo e trasportato materiale per tirare su un villaggio prefabbricato per mille persone. E hanno pure chiesto l’autorizzazione al sorvolo dei loro cargo militari a Paesi della Nato, come Bulgaria e Grecia, che non gliel’hanno concesso, incerti sulla natura di quegli aiuti al regime siriano.

Il sostegno militare attivo russo va ad aggiungersi a quelli già ufficialmente ammessi finanziari, d’intelligence, di consiglieri, di armi e di pezzi di ricambio. Ma Putin aveva fin qui sostenuto di considerare “prematuro” prendere in considerazione un intervento diretto. Ma il deterioramento della situazione potrebbe avere suggerito minore prudenza: la Siria ed Assad sono le teste di ponte della Russia in Medio Oriente, in attesa che si consolidi il rapporto con l’Egitto e con al Sisi.

La distanza tra Mosca e Washington non è nell’intervento militare –entrambi lo praticano-, ma sull’assetto della Siria domani: per Putin, Assad vi può ancora giocare un ruolo; per Obama, no.

Gli europei fanno dei distinguo: Londra e Parigi la pensano come Washington; l’Austria, che s’intende di vie di mezzo, pensa che il regime siriano e i suoi alleati, Russia e Iran, debbano essere ‘arruolati’ nella lotta contro il Califfato –il ministro degli Esteri di Vienna Sebastian Kurz l’ha detto in visita a Teheran-. La riapertura d’una linea di comunicazione con Damasco è caldeggiata da mesi con discrezioni da funzionari Ue.

E l’Italia? Il ministro degli Esteri Gentiloni vede la svolta “in una transizione politica, individuando un percorso di uscita dal regime senza la creazione di un vuoto, come avvenne in Libia": liberarsi del dittatore senza creare il caos, facendosi dare una mano da Mosca e Teheran.

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