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sabato 5 settembre 2015

Siria: Russia e Iran al capezzale d'un Paese che si svuota e muore

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 05/09/2015

"La Siria sta morendo: muore di fame in alcuni luoghi, muore di crepacuore vedendo i suoi gioielli archeologici saltare in aria e i suoi figli perire, chi affogato in mare, chi senz'aria in un camion, altri intrappolati in fili spinati, altri mentre vagano sui binari". L’immagine dolente è del nunzio apostolico a Damasco, monsignor Mario Zenari, intervistato ieri da Radio Vaticana. Un Paese che muore e che si svuota, la Siria, con milioni di sfollati all'interno e milioni di rifugiati nei campi in Turchia e in Libano; e centinaia di migliaia di profughi in cammino sui percorsi dell’emigrazione. Dove non ti uccidono le milizie jihadiste o le bombe dei lealisti o della coalizione, ma la crudeltà di scafisti o ‘spalloni’, i nuovi schiavisti, e l’insensibilità dei governi.

Chi resta in Siria?, chi comanda in Siria?, che futuro ha la Siria? Il nunzio risponde alle domande con un appello “alla comunità internazionale e a tutti i siriani” perché “superino le divergenze” e si “siedano al tavolo delle trattative”: “non c’è alternativa”, dice, per salvare la Siria e i tanti Aylan in fuga con i genitori dalla guerra. Il bimbo ieri seppellito a Kobane con la madre e il fratellino non è l’ultimo, avverte mons. Zenari: anche ora, certamente, bambini siriani stanno morendo. I dati dell’Onu dicono che sono 10 mila i minori finora uccisi in questo conflitto che ha fatto in tutto 250 mila vittime.

Impegnata a fare fronte al flusso degli arrivi, dalla Siria, dall’Eritrea, dall’Afghanistan, l’Unione europea ha consegnato la Siria ai raid della coalizione internazionale, senza svilupparvi da mesi un’azione diplomatica efficace: c’è più attenzione alla Libia che a quanto avviene nel Paese formalmente soggetto al presidente al-Assad, ma di fatto dilaniato tra lealisti che ne controllano porzioni di territorio sempre meno estese, jihadisti del Califfato all'offensiva –più mediatica che militare-, milizie integraliste anti-Is e anti-Assad di cui nessuno si fida ed una fantomatica ‘opposizione moderata’ che sul terreno non si vede, ma che partecipa attivamente al gioco della contro-informazione.

Così la Siria diventa palestra diplomatica, e non solo, per l’Iran e per la Russia, due Paesi vicini ad Assad e alla ricerca di rilegittimazione sulla scena internazionale. Teheran portav avanti una sua ricerca di una soluzione politica: nel giro di un mese, sono stati a Damasco il ministro Zarif, il 12 agosto, e il suo vice Lihan, ieri. Il presupposto iraniano è che qualsiasi soluzione politica non può prescindere dalla presenza di al-Assad sia nel futuro del Paese che nel dialogo con l'opposizione"; e la disponibilità di Teheran è diplomatica, ma pure militare, diretta o mettendo in campo gli alleati in Libano.

Meno rigida sul futuro la Russia di Putin: il presidente russo sostiene di avere concordato con al-Assad “cambiamenti politici necessari”, fra cui la convocazione d’elezioni anticipate - rispetto alla scadenza del 2016 - e la condivisione del potere con l'opposizione "sana". Putin muove varie pedine: cerca di arruolare fra gli amici l’Egitto; ammicca all’America, parlando di “coalizione anti-terrorismo”; e rimbrotta l’Europa.

La crisi dei migranti, dice, era un evento “prevedibile”, che la Russia aveva segnalato: l’Ue ha “ciecamente seguito gli Usa sulla Siria”, però “i siriani che fuggono dal loro Paese non scappano da al-Assad, ma dal Califfato”.

Manca, a questo tardivo revival diplomatico, il tassello occidentale. Obama, ora che ha l’ok del Congresso all’accordo con l’Iran sul nucleare e che ha forse avuto ieri l’avallo saudita – re Salman era a Washington -, potrà forse riprendere in mano il dossier. Prima che la Siria muoia; o si svuoti.

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