Ieri sera, a Los Cabos, in Messico, i presidenti statunitense
Barack Obama e russo Vladimir Putin si sono incontrati prima dell’apertura del
Vertice del G20. Alzi la mano chi lo sapeva gia. Ne vedo ben poche, di mani
alzate. E una ragione c’è. Un colloquio tra i presidenti di quelle che un tempo
furono le Super-Potenze bastava, una volta, a riempire le pagine di esteri dei
quotidiani di tutto il Mondo. Oggi, passa quasi in sordina: un po’ perché i due
Paesi non sono più quel che erano; e un po’ perché i personaggi sono quel che
sono.
La Russia e Putin, prima. Super-Potenza non lo è più, da
quando non è più Unione Sovietica; e anche il termine di Potenza l’ha retto a
stento per parecchi anni. Adesso, è un po’ tornata a esserlo, nella fragilità
complessiva della governance mondiale. Ma paga un presidente poco presentabile,
quanto a pedigree democratico e a frequentazioni personali (Mr B continua a
essere uno dei suoi pochi e migliori amici, fuori dai confini della Grande
Madre). Con Obama, poi, Putin proprio non lega: al Vertice del G8 di Camp
David, a casa del presidente statunitense, non s’è neppure fatto vedere, mandando
il suo ‘tuttofare’ Medvedev, quello che gli ha tenuto il posto in caldo al
Cremlino per quattro anni, tra due sue elezioni, e che adesso è tornato a
fargli da premier.
Da quando è di nuovo presidente, Putin tenta di mettere su
una diplomazia alternativa a quella americana: fa comunella con i cinesi –è
stato di recente a trovare Hu- e prepara una missione in Medio Oriente il 25 e
26 giugno, in Israele, nei Territori, in Giordania, Al G20, poi, s’è presentato
rispolverando, contro la crisi, una ricetta già capace di innescare guerre: il
protezionismo. "E' tempo – sostiene in un’intervista al quotidiano
messicano El Universal - che i governi dichiarino il protezionismo
inaccettabile, ma riconoscano nel contempo la necessità di misure per
proteggere le proprie economie”: ci vuole, cioè, “un accordo onesto su un
livello accettabile di provvedimenti protezionistici che i governi possano
prendere per proteggere i posti di lavoro in una crisi globale". Insomma,
Putin prova a inserirsi nel dibattito sulla crescita, cui è stato finora estraneo,
ma stecca l’entrata, perché non è che Usa e Cina e pure l’Ue non giochino talora
sporco sul protezionismo, ma mai ne faranno esplicita ammissione.
Quanto a Obama, a Los Cabos, più che il presidente, c’è il
candidato democratico alla Casa Bianca. Per lui, l’incontro con Putin vale
poco: si parla di Siria –sì, certo, una tragedia, ma che elettoralmente non
conta, tanto più che Usa e Russia continuano a pensarla diversamente-. Importa
di più, invece, quello con i leader dell’Ue: Cameron, Hollande, la Merkel,
Monti, più Van Rompuy e Barroso: li che vuole convincere a mettere in moto il
volano della crescita in Europa, perché, se l’Unione non cresce, gli Usa
crescono di meno e la conferma del presidente resta in forse.
Neppure gli Stati Uniti sono la Super-Potenza Unica che
furono dopo il crollo dell’Urss: forse, lo restano dal punto di vista militare,
ma questo presidente –per fortuna- è poco incline a usare la forza rispetto al
suo predecessore; politicamente, invece, sono meno determinanti che in passato
in aree del Mondo di loro tutela, ad esempio nei rapporti con Israele; ed
economicamente dipendono dalla Cina più di quanto la Cina non dipenda da loro.
Con i leader dell’Ue, Obama fa il punto sull’Eurozona, un
po’ rasserenata dopo il voto di domenica in Grecia, salutato con favore dal
presidente. L’interesse del G20 è più nei contatti di contorno che nelle
conclusioni collegiali: la presidenza messicana esclude “soluzioni” o
“risultati specifici”, conta in “progressi” anti-crisi. Per una volta, tra G8
e G20, il Vertice che tutti aspettano è quello europeo del 28 e 29 giugno a
Bruxelles.
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