Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 05/06/2012
Pia Ahrenkilde Hansen ci toglie le ultime illusioni: “Non ci sono piani segreti per ristrutturare l’eurozona o salvare l’euro”, dice la portavoce della Commissione europea, tranciando di netto tutta una ridda d’indiscrezioni giornalistiche. E così che s’era immaginato che i Saggi dell’Unione avessero trovato una pozione magica in fondo a qualche marmitta tra Alsazia e Saar deve ricredersi. I quattro cavalieri dell’Apocalisse europea, Van Rompuy, Barroso, Draghi e Juncker, stanno solo adempiendo al mandato loro affidato dal vertice informale del 23 maggio e studiano come “approfondire l'unione economica e monetaria”. E Barroso e la cancelliera tedesca Angela Merkel, incontrandosi ieri sera, restano terra terra: parlano di come consolidare le banche e metterle al sicuro da crack.
Tutte cose utili e magari necessarie, ma che non hanno il respiro dell’idea che batte la crisi e salva l’Europa. Pia, però, trancia le fantasie: “Si sta solo facendo confusione”. Speriamo, almeno, che i quattro presidenti, del Consiglio europeo, della Commissione, della Banca centrale e dell’Eurogruppo, abbiano –loro- progetti chiari, se non geniali. Van Rompuy si vuole rassicurante: “Lavoriamo per una maggiore integrazione economica”. E Barroso farà passare domani in Commissione una proposta di direttiva sui meccanismi di sostegno alle banche. L’esperienza spagnola mostra che le tutele nazionali di istituti di credito di dimensione europea non bastano più e che bisogna agire con mezzi comuni.
Restano tutte valide le domande più chieste di questi giorni sul futuro dell’Ue e dell’euro. Non se le fanno solo il Signor Rossi, Monsieur Dupont e Herr Schmidt, se lo chiedono anche Usa e Cina. Mister Obama attacca: la crisi dell’Europa ostacola la crescita degli Usa (e la sua rielezione).
1) Dopo tutto quello che è stato fatto l'euro è più forte o più debole?
La moneta unica non è certo nel suo momento migliore: debole sul dollaro, anche se quando nacque valeva meno d’un dollaro ed ora vale ancora un dollaro e un quarto, dopo essere arrivata quasi a un dollaro e mezzo. Ma le Cassandre della finanza alla Soros, che ne annunciano la fine entro tre mesi, non vanno credute. Anche la defezione della Grecia, se mai dovesse esserci, non sarebbe determinante: Stati Uniti e dollaro sono sopravvissuti al fallimento di diversi Stati.
2) La Grecia che fine farà?, e la Spagna?
Sulla Grecia, il coro dei leader dell’Ue è unanime: resterà nell’Ue e nell’euro. Ma molto dipende dalle elezioni politiche bis del 17 giugno: se vince la sinistra radicale, che vuole rinegoziare le condizioni per stare nell’euro, l’Ue dovrà tenere conto dei risultati. Quanto alla Spagna, l’assetto bancario è “fragile” –parola della Merkel-, ma poi succede ieri che la Borsa di Madrid è la migliore d’Europa proprio grazie ai titoli bancari. Però Rehn, Tremonti d’Europa, dice che l’eurozona rischia di disintegrarsi senza riforme.
3) Riuscirà l'asse anti-tedesco a cambiare l'indirizzo europeo?
No, perché non c’è. Hollande, Rajoy, Monti premono sulla Merkel perché sposti l’accento dal rigore alla crescita, ma non pensano di certo a mettersi contro la Germania. La cancelliera fa passetti: dice “più Europa, ma fatta bene”; e sugli eurobond passa dal “mai” al “ci vorranno anni”.
4) Qual è l'arco di tempo e quali sono gli appuntamenti decisivi?
Il mese cruciale dell’Unione e dell’euro va dal 31 maggio, quando c’è stato il referendum in Irlanda sul Patto di Bilancio –un largo sì-, al 29 giugno, cioè al Vertice già battezzato ‘della Crescita’. Le scadenze sono molte: il 10, in Francia, primo turno delle legislative; il 17, in Grecia, le politiche bis (e in Francia il secondo turno); il 22, a Roma, il quadrangolare Italia, Francia, Germania, Spagna; infine, il 28 e 29, a Bruxelles, il Consiglio europeo. Un percorso a ostacoli, inframmezzato da riunioni di routine dell’Ue. L’Unione può uscirne consolidata, spingendo oltre l’integrazione; ma può anche uscirne scheggiata dalla defezione della Grecia, col rischio d’un effetto domino su altre economie più grandi, come la Spagna e l’Italia. Il fuoco di sbarramento dei leader dei 27, tutti fermi a sostegno dell’integrità dell’Unione, crea una Maginot di consensi. Ma, delle Maginot, la storia ci ha insegnato che è meglio non fidarsi.
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