Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/05/2011
la Libia seppellisce 11 religiosi vittime, secondo il regime di Muhammar Gheddafi, d’un raid della Nato. E gli imam del regime lanciano una fatwa: “Mille persone moriranno per ciascuno dei religiosi uccisi”, minacciano, incitando i musulmani alla rappresaglia contro Italia, Francia, Danimarca, Qatar et Emirati Arabi Uniti, tutti Paesi che sono parte attiva della coalizione anti-libica.
Centinaia di persone hanno assistito, ieri, alle esequie dei religiosi uccisi nel cimitero di Chatia al-Henchir, a est di Tripoli, fra grida di ‘jihad, jihad’ e ‘Dio, Libia e Gheddafi’. Secondo le fonti del regime, gli 11 imam sono stati vittime, nella notte tra giovedì e venerdì, di un bombardamento della Nato su Brega (ci sarebbero pure state decine di feriti). Il comandante Khuildi al-Hamidi, un intimo di Gheddafi, rappresentava alla cerimonia il colonnello dittatore, che ha preferito restare nascosto nel suo nascondiglio dove, aveva detto alla Nato in un messaggio audio, “non mi troverete mai e non mi potete colpire”.
Il messaggio di Gheddafi, che smentiva di essere ferito o fuggito e asseriva di “essere nel cuore di milioni di libici” era una sfida all’Alleanza e pure una replica al ministro degli esteri Franco Frattini, con le sue sortite, irrita i nemici e imbarazza gli alleati –internazionali e politici, tanto che anche Il Foglio gli tira le orecchie-. Dopo un raid della Nato sul compound del colonnello a Tripoli –tre le vittime e 27 i feriti, secondo ler fonti ufficiali-, Frattini, con scelta diplomaticamente incomprensibile, aveva citato il vescovo di Tripoli monsignor Giovanni Martinelli e aveva giudicato “credibile” che il dittatore, apparso il giorno prima in un video della tv di Stato, fosse ferito e in fuga dalla capitale. Monsignor Martinelli ha poi smentito di avere mai fatto un’affermazione del genere.
Che la vicenda libica non nascesse sotto una buona stella per il ministro Frattini, come per l’Italia, handicappata dall’amicizia esagerata per il regime libico, era apparso evidente fin dai prodromi. La Tunisia era in fermento, l’Egitto in subbuglio, da Londra venivano annunci di mobilitazione dell’opposizione libica, ma il ministro, l’8 gennaio, dichiarava: “Gheddafi è un capo di Stato che riesce a controllare una situazione altrimenti esplosiva. Guardiamo a che cosa sta succedendo altrove, con rischi di tumulti e con il pericolo, nel Sahara settentrionale, di azioni terroristiche”. E il 1.o febbraio Frattini correggeva il tiro, ma ancora una volta non era buon profeta: “Quello che sta accadendo in Egitto deve essere una lezione per tutti. Credo che anche il leader libico stia guardando la tv e stia riflettendo su quello che può fare per il suo popolo”. Evidentemente, Gheddafi la tv l’aveva spenta o era sintonizzata su un altro canale.
I passi falsi del ministro Frattini, che sono poi quelli dell’Italia in questa crisi, sono poi proseguiti coi bombardamenti che non sono bombardamenti o la guerra a termine e la previsione che tutto è ormai “questione di settimane”. Un terreno su cui, ieri, l’ha però raggiunto il ministro degli esteri francese Alain Juppé, chiedendo d’intensificare la pressione militare sul regime libico, perché “non si tratta di tirare in lungo per mesi l’intervento, ma di chiuderlo in settimane”. E l’ex governatore della banca centrale libica Farhat Omar Bengdara pronostica al potere del rais “al massimo tre mesi”, perché “la lealtà introno a lui è ormai molto fragile”.
In un comunicato, la Nato ammette di avere colpito un centro di comando a Brega, utilizzato dal regime “per coordinare attacchi contro la popolazione civile”: “Sappiamo di affermazioni sulla morte di civili nell’attacco e benché non possiamo confermarne la correttezza ci rammarichiamo dell’uccisione di civili innocenti quando essa si verifica”. Il 1° aprile, l’Alleanza aveva colpito a morte nove ribelli e quattro civili a est di Brega e il 7 aprile aveva causato almeno quattro morti civili tra Brega e Ajdabiya.
Mentre la linea del fronte s’è ormai stabilizzata sostanzialmente da settimane proprio tra Ajdabiya, 160 km a sud-ovest di Bengasi, e Brega, 80 km più a ovest, nelle mani dei lealisti, l’iniziativa diplomatica è in pieno sviluppo: l’inviato dell’Onu Abdel-Elah al-Khatibè è di ritorno a Tripoli, mentre il capo degli insorti Mahmud Jibril rientra da Washington a Bengasi via Parigi (è il suo secondo incontro con il presidente francese Nicolas Sarkozy). Finora, solo cinque Paesi riconoscono il Cnt (Consiglio nazionale transitorio) dei ribelli come l’unico rappresentante legittimo del popolo libico, e non come uno degli interlocutori: Francia, Italia, Gran Bretagna, Qatar e Gambia.
Gheddafi tiene pure aperto il fronte della fuga dalla Libia di migliaia di disgraziati che scappano dalla guerra e dalla repressione e che prima, in forza del Trattato d’Amicizia con l’Italia, venivano tenuti prigionieri nei campi del colonnello. E questa è l’unica cosa che importa al ministro dell’interno, il leghista Roberto Maroni: ''L'unica soluzione e' che cessino i bombardamenti e che finisca la guerra. Se non c’è la guerra, non esistono nemmeno i profughi che diventano clandestini e che come tali puoi rimpatriarli”. Quel che poi succede loro, a Maroni, evidentemente, non importa.
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