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mercoledì 4 maggio 2011

Osama ucciso: Usa, "ha resistito, ma non era armato"

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 04/05/2011

Il turismo vizioso e guardone della cronaca nera nostrana ha come mete Avetrana o Brembate o –è la storia più fresca, quella di Melania- il bosco delle Casermette nel Teramano. La gente di Abbottabad, la città del Pakistan dove Osama bin Laden è stato ucciso in un raid delle forze speciali della U.S. Navy, si assiepava, invece, ieri davanti al compound fortificato che da anni il capo della rete terroristica al Qaida aveva scelto come rifugio. Le tv americane all news mostrano militari pachistani rilassati e quasi divertiti di guardia alla casa, da dove, probabilmente, tutto quello che c’era da portare via è stato portato via, cadaveri, persone, cose.

Nel covo di Osama, che non aveva nè telefono nè internet, il commando ha recuperato il computer del capo terrorista, un suo video inedito, che forse avrebbe dovuto essere presto diffuso, vari files e molto materiale elettronico: «Una miniera d’oro» per la Cia che spera di ricavarne informazioni sulle ramificazioni di al Qaida. La rette s’è man mano decentrata: Osama ne era ormai più un simbolo che un comandante in capo.

Attenzione!, pero’: tutte le notizie di questo articolo vanno lette al condizionale, perchè le versioni s’intrecciano, si sovrappongono, si contraddicono. Osama era li’, nel bunker, forse dal 2003 o poco dopo, ma la sua presenza sarebbe stata segnalata, o sospettata, solo da otto/nove mesi (altri dicono già dal 2009).

Il portavoce della Casa Bianca Jay Carney ha fornito più particolari sull’incursione e sull’uccisione di ‘Geronimo’, il nome in codice dell’obiettivo dell’operazione, condotta da 79 uomin e durata 40 minutii: Osama era al secondo piano della casa, ha opposto resistenza -ma non era armato- ed è stato ucciso. Una donna che era con lui, una moglie, è stata ferita a una gamba ed è stata evacuata. Fonti pachistane indicano, invece, che il killer sarebbe stato una guardia del corpo. Altri membri della famiglia, che erano nella casa, fra cui una figlia di Osama di 12 anni, che avrebbe visto tutto, e dei bambini, sarebbe nelle mani delle autorità pachistane ; alcuni sarebbero sottoposti a cure mediche.

Il blitz per mettere fuori combattimento il capo di al Qaida è stato seguito in diretta, nella Situation Room della Casa Bianca, dal presidente Barack Obama, che avrebbe dato l’ordine di attacco con un bigliettino, mentre si trovava in Florida, e dal suo staff, con il capo della Cia Leon Panetta in collegamento video costante.

L’attesa di altre foto e di altre prove di quanto avvenuto è andata finora delusa. C’è certo il timore che la loro pubblicazione –Carey ha definito le immagini «atroci»- possa scatenare maggiori proteste nel mondo musulmano. Ieri, a Karachi e altrove, vi sono state preghiere per il «martire» di al Qaida, mentre su internet uscivano foto ‘taroccate’.

Ed è forte la polemica mediatica tra Washington e Islamabad : il Pakistan denuncia «l’azione unilaterale non autorizzata» condotta dagli americani sul suo territorio; gli Stati Uniti ammettono di avere tenuto l’alleato pachistano all’oscuro nel timore che qualcuno finisse con l’avvertire Osama e farlo fuggire, dice Panetta a Time.

Le cose stanno cosi’?, o è un gioco delle parti? Al presidente pachistano Asif Ali Zardari, puo’ fare comodo apparire ignaro di tutto, di fronte a un’opinione pubblica che hq fermenti di simpatia per Osama e per al Qaida. Pero’ , Zardari si preoccupa pure di diffondere una versione diversa negli Stati Uniti: sul Washington Post, scrive che l’eliminazione di Osama è frutto «d’un decennio di cooperazione Usa/Pakistan» e che il primo passo sarebbe stata l’identificazione di «un messaggero» nel 2007. Ma pure l’intelligence afghana vuole il merito di avere individuato la pista giusta: all’Afp, una fonte dice che agenti nel campo di rifugiati di Haripur, vicino ad Abbottabad, avrebbero notato «movimenti sospetti» intorno alla casa bunker.

Il Pakistan è da sempre sospettato di doppio gioco, o almeno di mancanza di chiarezza, nella lotta al terrorismo: a conti fatti, Osama non stava nascosto in qualche valle remota e inaccessibile delle montagne al confine tra Pakistan e Afghanistan, ma in una città di guarnigione, in un quartiere di militari in pensione, a meno di cento km dalla capitale. Integralisti e talebani godano dell’appoggio di parti dell’Isi, il servizio d’intelligence pachistano. E i talebani non s’arrendono all’evidenza: non ci sono prove –dicono- che Osama sia morto.

La Cia cerca di capire chi assumerà il comando di al Qaida, quasi certamente Ayman al-Zawahiri, il numero due, ma soprattutto cerca di contrare possibili ritorsioni, adottando misure di massima allerta e suggerendo agli alleati di fare lo stesso. Domani, Obama sarà a New York, a Ground Zero: un pellegrinaggio e pure un bagno di folla per misurare la rinnovata popolarià.

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