Scritto per Il Fatto Quotidiano del 11/05/2011
Non sai più a chi credere: appena uno dice una cosa, un altro la smentisce. Io, pero’, tra il presidente degli Stati Uniti, ora che è Barack Obama, ed un sito di terroristi, tendo a credere al presidente degli Stati Uniti. Nella vicenda dell’uccisione di Osama bin Laden, verità e falsità, informazione e propaganda, s’intrecciano di continuo: difficile districare l’una dall’altra. L’unica cosa davvero certa, e lo avevamo scritto fin dal primo giorno, è che il fondatore di al Qaida è stato ammazzato: foto o no, il dato non è mai stato smentito ed è anzi stato confermato dagli stessi jihaddisti.
Adesso, pero’, un sito mette in rete un video di al Qaida che accusa gli americani d’avere falsificato le immagini del terrorista baby-pensionato a 54 anni: uno spezzone di video che, da solo, inficia il mito del capo della rete e della mente degli attacchi dell’11 Settembre 2001. «Bisogna stare attenti: l’America mente», proclama il sito Shoumoukh al Islam, che di solito mette in rete i messaggi di al Qaida e che spiega d’avere voluto cosi’ rispondere «al video diffuso da media arabi e stranieri che mostra Osama mentre guarda in tv immagini di se stesso ». Ecco le ‘prove’ del falso: l’anziano dalla barba bianca del video diffuso dal Pentagono non sarebbe Osama, perchè gli occhi e le orecchie non paiono quelli del terrorista. Il tutto è un po’ vago, ma il sito conclude che, malgrado la morte del capo, «la jihad proseguirà fino al giorno del giudizio universale».
Gli Stati Uniti avevano annunciato che le forze speciali avevano sequestrato, nel blitz del 1o maggio, cinque video, uno o più computer e dei documenti nella casa covo d’Abbottabad. Uno dei video mostra, appunto, Osama, o un suo alias, barba bianca non curata, un berretto di lana nero in testa, una coperta marrone sulle spalle, mentre fa zapping con il telecomando alla televisione, passando da un canale all’altro e soffermandosi quando un’emittente diffonde sue immagini.
Il giallo del video c’era da aspettarselo, perchè quel frammento è davvero devastante per il mito di Osama e rischia di annacquarne l’iconografia anche nel Mondo arabo. La polemica ‘vero/falso’ è il fatto saliente di una giornata d’ordinario malessere tra Usa e Pakistan: stavolta, i contrasti nascono dal desiderio dell’intelligence americana d’interrogare le mogli di Osama che erano nella casa covo. Islamabad nicchia, mentre la stampa statunitense snocciola notizie urticanti per Islamabad. Eccone un’antologia: la Cia spiava da tempo l’Isi, il servizio segreto pachistano, e le Navy Seals del blitz erano autorizzate a rispondere al fuoco dei militari pachistani, se questi avessero cercato di fermarli; le squadre speciali avevano, inoltre, con se’ esperti per interrogare Osama, se l’avessero catturato, e specialisti di riti funebri islamici per seppellirlo, com’è poi avvenuto (ma i figli di Osama giudicano sul web «inaccettabile» e «umiliante» la sepoltura in mare eseguita). Infine, l’Amministrazione americana intende condividere con gli alleati le informazioni acquisite, ma non è detto che voglia spartirle con i pachistani. E per la seconda volta dal raid un drone Usa colpisce e uccide nel Waziristan, in quel lembo di territorio pachistano dove si credeva fosse Osama.
L’isi risponde facendo sapere che il figlio minore dei 24, o 26, di Osama, Hamza, sarebbe riuscito a fuggire dal covo di Abbottabad e avrebbe già vestito i panni di “principe ereditario del terrore”. In un video del 2001, un Hamza allora ragazzino legge una poesia sulle gesta del padre: “Avverto l’America che subirà conseguenze terribili se cercherà di prenderlo. Combattere gli americani è la base della fede”.
Il WSJ fa pregustare agli americani un frutto dell’eliminazione del ‘nemico pubblico numero 1’: il ritiro dall’Afghanistan di 5mila soldati entro luglio e di altrettanti entro fine anno (un’ipotesi che deve ancora ottenere il via libera del generale Petraeus, comandante Usa e Nato in Afghanistan, e della Casa Bianca). Il piano, in realtà, è precedente all’uccisione di Osama: attuato ora acquisterebbe un significato simbolico, ma potrebbe pure mandare il messaggio -sbagliato, per l’Amministrazione Obama- che la guerra è vinta. Infatti, con mossa bipartisan, due influenti senatori, John Kerry, democratico, e Richard Lugar, repubblicano, mettono in guardia la Casa Bianca: niente ritiro «precipitato» dall’Afghanistan, dove l’estate è il momento più cruento.
mercoledì 11 maggio 2011
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