Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/11/2011
C’è qualcuno, anche a Belgrado, che ha paura della Serbia nell’Ue. E c’è pure qualcuno che ha paura della Serbia e basta. Appena Belgrado s’avvicina all’Ue subito scoppiano incidenti alla frontiera con il Kosovo. Questa volta accade, ed è difficile sia un caso, prima della visita a Bruxelles del presidente serbo Tadic: i leader dei 27 debbono decidere, il 9 dicembre, se accordare alla Serbia lo statuto di candidato all’adesione, come propone la Commissione europea. L’ultimo ostacolo è la mancanza di un dialogo “serio” tra Belgrado e Pristina per normalizzare le relazioni. A Tadic, il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy ricorda: “la cooperazione regionale e le relazioni di buon vicinato sono essenziali nel processo d’allargamento balcanico” dell’Unione. Serbi e kosovari hanno aperto un tavolo, in marzo, ma si sono subito bloccati sulla questione dei posti di confine. La Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo, autoproclamata nel febbraio 2008 e poi avallata dalle autorità internazionali, e non accetta che la frontiera con il Kosovo sia considerata una frontiera fra Stati. L’altra notte, 21 militari della Kfor, la forza Nato lì presente, sono stati feriti, mentre cercavano di smantellare una delle barricate erette dai serbi del nord del Kosovo perché ci sono poliziotti e doganieri kosovari nei posti di confine. Attaccati dai manifestanti, i soldati hanno sparato colpi di avvertimento e tirato lacrimogeni, prima di desistere perché "le barricate non valgono la perdite di vite umane". Tadic e i leader di Belgrado, europeisti e riformatori, propensi a una linea moderata e negoziale, sono in imbarazzo davanti alla linea dura sostenuta dalle forze conservatrici e nazionaliste. E le elezioni politiche in primavera complicano i giochi.
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