Scritto per Il Fatto Quotidiano dell'11/11/2011
Potenza di un nome e forza della credibilità. Dopo anni di Mr B, basta chiamare Mario Monti, nominarlo senatore a vita, convocarlo al Quirinale e le montagne, invece di partorire topolini, vanno a Maometto. La borsa risale, nonostante l’Ue tagli le previsioni di crescita, e le dimissioni di Lorenzo Bini Smaghi dal ‘board’ della Bce per andare a insegnare a Harvard eliminano un elemento di frizione fra Roma e Parigi e un vulnus all’affidabilità dell’Italia, che s’era impegnata a risolvere entro il 1o novembre il problema della doppia presenza nell’esecutivo della Banca centrale europea adesso che Mario Draghi ne è divenuto presidente.
Non è detto che Bini Smaghi resti a insegnare ad Harvard. Anzi, non è neppure detto che ci vada. La notizia delle dimissioni ha ravvivato le voci di un’operazione triangolare Roma-Francoforte-Bruxelles: il banchiere alla Commissione europea, al posto di Antonio Tajani, vice-presidente e responsabile dell’industria, che si dimetterebbe per assumere un incarico da ministro nell’esecutivo Monti, se e quando sarà formato. Sono voci raccolte in ambienti comunitari e assolutamente non confermate. Ma chi era presente, il 17 ottobre, a Roma, a un convegno europeo organizzato da Euractiv e IAI, non aveva potuto non notare il grande feeling che, sorprendentemente, venne fuori tra il presidente della Bocconi e il vice-presidente della Commissione.
Per Monti, la credibilità, a livello europeo e internazionale, è un dato di fatto: non va costruita. “Il professore non ha bisogno di una rete, non ha bisogno di una cerchia di fedeli intorno per crearsi un seguito –dice convinta una persona che gli fu accanto nel doppio mandato alla Commissione europea dal 1995 al 2004, prima al mercato interno, poi alla concorrenza-: la sua autorevolezza è tale che tutti lo rispettano. Lui parla con chi vuole ai massimi livelli ed è ascoltato”. Ancora recentemente, il presidente dell’Esecutivo comunitario José Manuel Barroso chiese a lui consiglio su come completare il mercato interno.
Molti dei più stretti collaboratori di Monti negli anni europei occupano, oggi, posizioni di prestigio e influenti nelle istituzioni comunitarie e garantiscono, comunque, una rete di riferimento efficace (non solo italiana). Enzo Moavero Milanesi, capo di gabinetto del professore per un mandato e mezzo circa, dopo avere fatto un’importante esperienza a Palazzo Chigi con Carlo Azeglio Ciampi premier, è stato poi poi direttore dell’antitrust, vice-segretario generale, direttore generale del ‘think tank’ voluto da Romano Prodi quand’era presidente della Commissione ed è oggi il giudice italiano del Tribunale dell’Unione europea a Lussemburgo.
Dopo Moavero, Monti ebbe come capo di gabinetto un belga, Mark Van Hof, oggi direttore al servizio giuridico della Commissione.
Fra gli altri collaboratori del Monti europeo ci sono Stefano Manservisi, che passò dal gabinetto Monti a quello del presidente Prodi ed è poi divenuto direttore generale alla cooperazione allo sviluppo e, ora, agli affari interni; Guido Berardis, oggi direttore al servizio giuridico; e Arianna Vannini, oggi al gabinetto
del presidente Barroso. Molto vicino al professor Monti era un altro prodotto della Bocconi, il professor Angelo Cardani, che è poi tornato all’Ateneo milanese. E a Bruxelles Monti portò pure Adelaid Sailer-Schuster, che era rappresentante della Bundesbank a Roma e che è poi tornata alla ‘casa madre’. Sue portavoci furono Betti Olivi, figlia di Bino Olivi, storico portavoce della Commissione europea per quasi vent’anni, che oggi lavora alla Rappresentanza in Italia della Commissione, e poi la spagnola Amelia Torres, oggi ancora a Bruxelles con Joaquin Almunia.
Ritroveremo qualcuno di questi nomi nella lista del governo che Monti potrebbe presto dovere formare?, o fra i suoi collaboratori a Palazzo Chigi? E’ presto per dirlo, ma voci già circolano. I ‘montiani d’Europa’ sono schierati con il professore e con il presidente Napolitano. Uno di essi dice a Il Fatto: “quanto sta accadendo all’Italia è ingiusto”, perché, senza negare la gravità del problema del debito, il Paese “non si merita di finire come quelli che fanno i giochi delle tre carte”. “Con un’azione seria e determinata, si può venirne fuori”: Monti ne è capace, Napolitano dice “saremo all’altezza del compito” e pure Obama gli –e ci- dà fiducia.
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