Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/11/2011
La crisi del debito abbatte, l’uno dopo l’altro, i leader dei Paesi a rischio della moneta unica: un domino che, fatte tutte le debite differenze, evoca la caduta dei satrapi innescata dalla Primavera araba, prima col crollo pacifico dei regimi di Ben Ali in Tunisia e di Hosni Mubarak in Egitto, poi con l’epilogo cruento della dittatura di Muammar Gheddafi in Libia e la rivolta contro il regime in Siria dall’esito ancora incerto.
In Europa, tutto è finora accaduto nel rispetto delle regole della democrazia, anche se le tensioni sociali hanno innescato scontri di piazza in Grecia, soprattutto, ma anche in Italia e altrove e persino nella Gran Bretagna che è fuori dall’euro. In Spagna, lo scontento e le ansie di una generazione senza prospettive hanno trovato espressione nel movimento degli ‘indignados’ che fa adepti in Europa e in America.
In principio, erano i Piigs, i Paesi a rischio dell’eurozona: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna. Forse manco ve lo ricordate, ma per molti mesi i servi mediatici di Mr B, politici, economisti, giornalisti, stettero a spiegarci che i cinque Piigs erano, i realtà, solo i quattro Pigs, perché l’Italia non c’entrava nulla … C’era pure chi ci credeva!
Ebbene, a fine mese, tutti i Piigs avranno cambiato governo: quale ne fosse il colore, gli esecutivi al potere hanno pagato la crisi e l’austerità che essa comporta. E il domino potrebbe non arrestarsi qui: il prossimo della lista potrebbe essere il presidente francese Nicolas Sarkozy,nella primavera 2012.
Irlanda e Portogallo si mossero per primi, con elezioni politiche anticipate: i governi in carica negoziarono con Ue e Fmi piani di salvataggio e, poi, uscirono di scena. Il 25 febbraio, il Fine Gael, di centro-destra, vinceva il voto in Irlanda, battendo il Fianna Fail del premier uscente Brian Cowen. Formata una coalizione con i laburisti, il nuovo Taoiseach Enda Kenny ha limato l’intesa con Ue e Fmi, ma ha soprattutto rispettato gli impegni presi.
Il 5 giugno, in Portogallo, il centro-destra coalizzato intorno a Pedro Passos Coelho ha ‘disarcionato’ dal potere i socialisti del premier uscente José Socrates, Fatto il governo, Passos Coelho ha subito garantito l’osservanza del piano di aiuti negoziato dal predecessore, con misure da ‘lacrime e sangue’.
A Madrid, il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero ha giocato d’anticipo: prima che l’attacco alla Spagna sui mercati divenisse martellante, ha annunciato il suo ritiro ed elezioni anticipate. La mossa non servirà, forse, a mantenere al potere i socialisti, perché i sondaggi danno avanti l’opposizione centrista, ma è bastata ad allentare le pressioni sull’economia del Paese.
In Grecia e in Italia, s’è attesa la mezzanotte meno un minuto per cambiare (in Italia, a dire il vero non lo si è ancora fatto). Certo, la situazione economica di Atene e di Roma era, ed è, molto diversa, ma il deterioramento della credibilità politica italiana ha fatto sì che i due Paesi giungessero insieme sull’orlo del baratro. La Grecia prova ad uscirne con un governo di unità nazionale guidato da Lucas Papademos, ex vice della Bce: un esecutivo dove il ministro delle finanze Evangelos Venizelos è confermato e composto da ministri socialisti e centristi; un governo breve, per attuare le riforme e preparare nuove elezioni.
Il mix greco di tecnocrati e di politici è un’indicazione di cui pure l’Italia dovrà tenere conto, se e quando davvero si affiderà a Mario Monti, un economista che rassicura l’Europa. Il FT ammonisce: “Ci vogliono leader, non solo manager”; e spiega: Il governo ad interim dovrà fissare un calendario verso le elezioni anticipate, così che gli elettori non si sentano tagliati fuori da un processo che richiederà grandi sacrifici”. Questi inglesi hanno, magari, la puzza sotto il naso, ma i percorsi della democrazia li conoscono bene.
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