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venerdì 4 novembre 2011

Grecia. Papandreu al bivio tra referendum, fiducia, elezioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 04/11/2011

Una tragedia greca. O una commedia? E’ Eschilo, o Aristofane, l’autore del copione che Giorgio Papandreu, premier socialista, sembra recitare a soggetto sui palcoscenici incrociati di Atene e di Cannes? Lo scenario è tragico: sullo sfondo, misure di rigore che evocano l’immagine della ‘macelleria sociale’ e persino lo spettro d’un colpo di stato, come quello che, nel 1967, costò l’esilio al padre di Giorgio, Andrea, futuro premier (e, prima dell’arrivo dei colonnelli, capo del governo lo era stato il nonno, un altro Giorgio): la sindrome della dittatura militare aveva suggerito, o imposto, martedì scorso, il brusco avvicendamento di tutti i vertici militari greci.

Forse, il copione che Giorgio recita ha autori meno classici: il duo Merkozy firma la marcia indietro rispetto all’idea di un referendum sul piano di salvataggio della Grecia dal rischio di fallimento. E’ un piano che può apparire generoso: prevede 106 miliardi di euro di interventi pro Atene e il dimezzamento dei debiti verso le banche, ma che impone in contropartita pesanti sacrifici economici e sociali per tutta la popolazione.

L’epilogo non è ancora scritto. La giornata greca è tutta un’altalena di notizie e di smentite: il referendum si farà più presto del previsto, a dicembre, forse prima ancora; il ministro delle finanze Evangelos Venizelos è contrario; il governo non ha più la maggioranza e vuole dimettersi; l’opposizione appoggia il piano di rigore, ma si va verso un governo di unità nazionale. Ai partner dell’Ue, Papandreu dice che progetta di cancellare il referendum, di non dimettersi e di chiedere la fiducia: se la otterrà, la Grecia andrà avanti senza consultazione popolare. Ma l’opposizione, nel dibattito in Parlamento, pone condizioni. Un voto, tra oggi e domani, dovrebbe chiarire la situazione.

Tragedia o commedia che sia, resta il sospetto che a recitare siano dei guitti: politici e signori della finanza. Le borse che, all’inizio della settimana, avevano accolto con un profondo rosso l’annuncio del referendum, salutano l’ipotesi d’una cancellazione con una giornata da toro. Una conferma che gli speculatori che tengono in ansia governi e famiglie si nutrono di annunci e parole più che di fatti e cifre. Ad alzare sui listini il gran pavese, contribuisce la prima decisione della Bce versione Mario Draghi, che taglia a sorpresa il costo del denaro. Ma Draghi lancia un monito ai Paesi più pericolanti: ci vogliono ancora rigore e riforme.

Se gli allibratori britannici continuano a considerare la Grecia in ‘pole position’ nella triste corsa all’uscita dall’euro (uno a sei), ben davanti all’Italia e al Portogallo (entrambi 6 a 1), il presidente francese Sarkozy e la cancelliera tedesca Merkel salutano con fiducia e soddisfazione la marcia indietro greca annunciata. Sarkozy attribuisce “la presa di coscienza” di Papandreu al messaggio indirizzatogli da Francia e Germania. La Merkel, più prammatica, dice che “contano gli atti, non le parole”: la saggezza di non fare il referendum, cioè, varrà di più dell’azzardo di averlo annunciato. "Il posto della Grecia è nella zona euro. Per noi, questa è l’opzione sulla tavola," dice a Bruxelles la Commissione europea. Su questo punto, Papandreu concorda: “L’appartenenza della Grecia alla eurozona non è in discussione”, afferma, in una riunione di emergenza del Consiglio dei Ministri. Il G20 di Cannes gli tributa un applauso, riferiscono fonti da dentro la riunione.

Alla fine della giornata, però, restano margini d’incertezza sull’evoluzione della situazione, che ad Atene è fluida e confusa. In vista del voto di fiducia, i giochi politici sono aperti: l’opposizione di Nea Demokratia, il partito di centro-destra che porta la responsabilità del dissesto finanziario greco, subordina il sì al piano ad un governo di unità nazionale ‘natalizio’ con elezioni anticipate all’inizio delll’anno prossimo. E Venizelos ha fretta di rimpinguare le casse dello Stato: gli otto miliardi della sesta fetta del prestito accordato alla Grecia da Ue ed Fmi devono arrivare entro metà dicembre, se no il Paese non potrà fare fronte ai suoi impegni.

La china su cui la Grecia s’avvia pare, però, confermare la regola che vuole la salvezza dalla crisi del debito legata a un momento di discontinuità politica: Irlanda e Portogallo, sull’orlo del fallimento, se ne sono allontanati dopo elezioni legislative; e la Spagna se n’è tenuta al riparo anticipando il voto politico . Solo l’Italia non ha finora imboccato quella strada.

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