Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 09/11/2011
Ci risiamo. L’Iran sarebbe sul punto di dotarsi dell’atomica. E l’America, magari tramite Israele, sarebbe sul punto di provare ad impedirglielo con un attacco preventivo: lo scenario non è quello d’una guerra vera e propria, ma piuttosto quello già sperimentato di un’ ‘operazione chirurgica’ (solo che, al posto del bisturi, ci sarebbero le famigerate ‘bombe intelligenti’). L’allarme, che è stato più volte agitato negli ultimi anni, risuona di nuovo forte mentre il presidente Usa Barack Obama affronta con un tasso di popolarità basso la campagna elettorale 2012 e mentre Israele è più isolato che mai sulla scena mediorientale, senza i punti di riferimento egiziano e turco.
NYT e WP scrivono e le agenzie di stampa internazionali confermano che un rapporto dell'Aiea, l’Agenzia internazionale dell’Onu per l'energia atomica, già consegnato agli Stati membri, ma non ancora pubblicato, indica che Teheran sarebbe riuscita a superare tutti i maggiori problemi tecnici che la separavano dallo sviluppo di armi nucleari. Per il presidente israeliano, Shimon Peres, che non è un falco, l’Iran potrebbe arrivare all'atomica entro sei mesi.
Foto dal satellite e rapporti di intelligence testimonierebbero la presenza nel Paese di infrastrutture per produrre e ‘testare’ ordigni atomici, oltre che il ruolo d’esperti dell’ex Unione Sovietica, e pure pakistani e nord-coreani, nella formazione di personale iraniano. Teheran lavorò allo sviluppo dell'atomica fino al 2003 con "un programma strutturato" e ci sono elementi per sostenere stia tuttora conducendo ricerche in quella direzione: recentemente, ha pure a iniziato a trasferire materiale nucleare nel bunker sotterraneo di Fordow.
Gli elementi d’allarme, dunque, ci sono, certificati da un’Agenzia dell’Onu: nulla a che vedere, cioè, con il labile complotto iraniano per uccidere un diplomatico saudita sul territorio statunitense denunciato il mese scorso da Washington. Ma Teheran nega di lavorare all'atomica: il presidente Mahmud Ahmadinejad afferma che il suo Paese non ha bisogno della bomba e che Usa e Israele "temono il ruolo e le capacità crescenti dell'Iran" e "cercano di ottenere il sostegno internazionale” per un'operazione militare preventiva.
Il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ammonisce che un attacco sarebbe "un errore molto grave" e dalle "conseguenze imprevedibili". E la ipotesi di attacco innescano pure effetti negativi: una sorta di disgelo tra Ahmadinejad e la guida suprema Ali Khamenei, con delusione di chi riteneva che le divisioni interne sarebbero divenute prima o poi l’inizio della fine del regime
Vediamo gli scenari che si aprono.
Se – L’attacco ci sarà? L'ipotesi di un’azione israeliana contro le installazioni nucleari iraniane era già stata alimentata nei giorni scorsi da indiscrezioni su dibattiti in seno al governo Netanyahu. Ma gli Stati Uniti, prima di avallarla, perché per ora è impensabile che essa avvenga a loro insaputa e contro il loro parere, percorreranno, probabilmente, la strada di un inasprimento delle sanzioni dell’Onu contro l’Iran: una strada in salita, perché Mosca e Pechino hanno già espresso forti riserve.
Bisognerà, poi, valutare gli sviluppi sia della situazione mediorientale che della campagna elettorale negli Stati Uniti. Al presidente in carica, una situazione di tensione internazionale può anche fare comodo, ma, come scrive il generale Arpino su AffarInternazionali, molti negli Usa, e non solo liberal, paiono ormai rassegnati a convivere con un Iran nucleare, e auspicano che la “mano tesa” prima o poi venga stretta, anche a prezzo di qualche rinuncia, purché non ci sia la guerra.
Quando – Se quel che conta sono le scadenze elettorali, non ora e neppure presto: Obama potrebbe trovarsi alle strette verso la fine dell’estate prossima, dopo la designazione del rivale repubblicano. Ma un ricorso a freddo a un attacco preventivo come strategia elettorale ci appare poco credibile. Se, invece, quel che conta sono i timori israeliani, ogni momento è buono.
Come – Per Anthony H. Cordesman, ricercatore senior del Center for Strategic and International Studies (Csis), Israele ha la possibilità di lanciare diverse ondate d’attacco simultaneo di tre gruppi di 18 velivoli ciascuno, 54 velivoli per ogni operazione (F15 e F16). I limiti non vengono dai mezzi d’attacco, ma dalle capacità di rifornimento in volo. Per distruggere siti protetti o sotterranei come Nantaz, Isfahan e Arak, Israele già disporrebbe di armamenti convenzionali di precisione sufficienti, senza escludere l’ipotesi che gli Usa abbiano già fornito materiale più sofisticato.
mercoledì 9 novembre 2011
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