Scritto per Il Fatto Quotidiano del 02/11/2011
A settembre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la frittata era stata evitata solo perché, in extremis, s’era trovato un pateracchio diplomatico che evitasse un voto, in plenaria e nel Consiglio di Sicurezza, sull’adesione della Palestina all’Onu: alle urne, l’Unione europea avrebbe sciorinato tutte le proprie divisioni. Sette settimane dopo, all’Unesco, l’Ue è invece andata a sbattere il naso contro il voto con cui l’organizzazione dell’Onu per la cultura ha riconosciuto la Palestina come membro a parte intera. Fra i 27, c’è chi vota a favore –Francia e altri-, chi vota contro –Germania e altri- e chi si astiene – Italia e altri-. La scelta pilatesca non è estemporanea: l’Italia “s’attiva” –il termine è della Farnesina- per giungere “a una posizione coesa e unita dell’Europa”, naturalmente non ci riesce e, in mancanza di una posizione europea, opta per non averne una neppure lei e si astiene. Intendiamoci: trovare una posizione europea unitaria non era affatto facile, anzi era probabilmente impossibile. Non perché non c’è riuscita quell’acqua cheta di Lady Ashton, che, da quando è ‘ministro degli esteri’ europeo, invece di buttare giù i ponti fa macerie di quel che c’era di politica estera comune, ma perché le differenze di posizione dei 27 verso Israele sono datate e profonde. L’Italia riconosce i progressi fatti dall’autorità palestinese del premier Salam Fayyad, ma ritiene che non fosse il momento di porre la candidatura all’Unesco, come non lo era per quella all’Onu, “in una fase in cui si sta cercando di creare le condizioni per la ripresa del negoziato tra israeliani e palestinesi”. Ma, con la scusa di facilitare quelle trattative, Israele cerca di tenere tutto fermo, tranne i suoi insediamenti, che non s’arrestano mai.
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