Le sorti dell’euro, la moneta unica di oltre 330 milioni di cittadini europei, sono in mano a un club relativamente ristretto: cinque persone, nessuna delle quali esercita il potere sull’euro in virtù di un’elezione popolare. Nessuna tranne una: la cancelliera tedesca Angela Merkel, teutonica vestale del rigore e dei conti in ordine, la donna che veniva dall’Est eletta e confermata alla guida del governo tedesco. Tutti gli altri ‘signori dell’euro’ sono stati scelti da loro pari, nominati più che eletti.
Oltre a Frau Angela, il club comprende un banchiere italiano, un avvocato lussemburghese, un calciatore finlandese, una sub francese. Ad essi, rispondono, in qualche modo, i premier dello spread, Mario Monti in Italia, un tecnico che ne sa più di molti di loro, e due politici portati alla guida dei loro Paesi più dai disastri dei loro predecessori che dai loro meriti, lo spagnolo Mariano Rajoy e il greco Antonio Samaras.
Il banchiere italiano è Mario Draghi, 65 anni, presidente della Bce dal 1.o novembre 2011, dopo essere stato, dal 2006, governatore di BankItalia, succedendo ad Antonio Fazio. Economista, manager, con un’esperienza internazionale riconosciuta ed apprezzata –dal 2006 al 2011, fu presidente del Financial Stability Board-. Competenza ed esperienza non gli sarebbero comunque valse il posto che oggi occupa se l’anno scorso l’allora governatore della Bundesbank, Axel Weber, destinato alla Bce, non si fosse dimesso in seguito a un contrasto con la cancelliera Merkel: fuori Weber e dentro Draghi, come Monti uno di quei rari ‘italiani tedeschi’ che Angela apprezza.
L’avvocato lussemburghese è Jean-Claude Juncker, laurea in giurisprudenza ed iscritto all’albo della professione, senza averla mai esercitata. Juncker ha fatto sempre il politico: ha solo 58 anni, ma tutti lo credono molto più vecchio, perché fa il premier ininterrottamente da 17 anni –è il capo di governo con il più lungo stato di servizio permanente ed effettivo dell’Unione europea ed attualmente del Mondo-. Dalla creazione dell’Eurogruppo, il consesso dei ministri delle finanze dei paesi dell’euro, Juncker ne è il presidente: sembrava dovesse lasciare l’incarico a fine giugno, è stato confermato per un altro termine, ma ha detto che cederà il posto ad altri a fine anno. L’incarico potrebbe andare a un francese, l’attuale ministro delle finanze Pierre Moscovici.
Il calciatore finlandese è Olli Rehn, da giovane titolare nella squadra della sua cittadina, Mikkeli, nella serie A finnica –non gran che, come referenza sportiva, ammettiamolo-, poi subito in politica, come si fa da noi, ma, in genere, non dalle parti sue. Rehn, 50 anni, è al secondo mandato da commissario europeo: vice del presidente Barroso, è responsabile degli affari economici e monetari. Competente, ma senza carisma; preciso, ma senza calore; Rehn è il pompiere della squadra: getta acqua sul fuoco delle polemiche, ma smorza pure le fiammate d’entusiasmo che possano nascere.
La sub francese è anche l’intruso di questo club. Davvero non si capisce, infatti, perché il Fondo monetario internazionale debba avere tanta voce in capitolo negli affari europei. Lì, all’Fmi, comanda Christine Lallouette Lagarde, che, nonostante sia divorziata, conserva il nome del marito: 48 anni, avvocato di successo specializzata nelle cause di concorrenza e di lavoro, ministro a più riprese, ‘votata’ dal Financial Times miglior ministro delle finanze dell’Eurozona, la Lagarde, come Draghi, sta dov’è per un caso fortuito: il suo predecessore, Dominique Strauss-Khan, francese come lei, perse il posto nella primavera 2011 per una squallida e contorta vicenda di cui fu protagonistae pure vittima. E così la Lagarde si trovò proiettata, secondo Forbes, nella ‘top ten’ delle donne più potenti al mondo e nel club dell’euro, a stringere il cappio al collo dei Paesi in difficoltà con le regole da neo-colonialismo finanziario della sua istituzione.
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