Quelli di Londra sono i 30.i Giochi dell’Era Moderna, ma, in realtà, se ne sono disputate finora solo 26 edizioni: se, nell’antichità, le Olimpiadi fermavano le guerre, ai tempi nostri sono state le guerre a fermare le Olimpiadi, nel 1916 – quando la città prescelta era Berlino -, nel 1940 – quando sarebbe toccato a Roma - e nel 1944. Londra è la prima città ad ospitarli una terza volta, ma le edizioni del 1904 e del 1948 non furono certo né universali né grandiose. Due volte i Giochi si sono fatti a Parigi, ma in tempi lontanissimi, il 1900 e il 1924, e a Los Angeles, nel 1932 e nel 1984.
E’ nel secondo dopoguerra, e con l’accesso all’Indipendenza delle Colonie, che i Giochi acquisiscono davvero una dimensione planetaria. Anche se alcune immagini della prima fase appartengono, comunque, all’immaginario collettivo italiano –Dorando Pietri, a Londra, nel 1908, o Nedo Nadi, a Anversa nel 1920- e universale: il salto in lungo di Jesse Owens e le quattro medaglie d’oro complessive del campione nero, a Berlino, davanti a Hitler e nello stadio della superiorità ariana, sono tuttora un potente testimonial dello spirito olimpico.
Le logiche del Cio nell’assegnare le Olimpiadi spess sfuggono alla comprensione e sono criticate: pensiamo ai Giochi assegnati di fila a Berlino nel ’36 e a Roma nel ’40, quasi un riconoscimento a due dei totalitarismi più agghiaccianti del XX Secolo; e, in tempi più recenti, pensiamo ai Giochi del 1996, quelli del Centenario, che tutto pareva destinare ad Atene, da dove l’avventura moderna era ripartita, e che invece toccarono all’insipida Atlanta, nel segno della Coca Cola e della Cnn.
Roma 1960 – Sono i primi Giochi come li intendiamo noi oggi: una metropoli che si rimodella e s’attrezza per ospitarli, dopo averli attesi invano nel ’40 –l’Olimpico è un retaggio dei preparativi dell’edizione abortita-, e che offre lo sfondo dei suoi monumenti e della sua storia all’immagine simbolo di quell’edizione, la maratona vinta a piedi nudi da Abele Bikila, un etiope, l’alfiere d’una ex colonia proprio italiana, l’archetipo degli uomini degli altipiani destinati a dominare fondo e mezzofondo. L’altra immagine tutta italiana di quei Giochi è il volo delle colombe all’arrivo di Livio Berruti vincitore dei
Monaco 1972 – E’ quando i Giochi diventano luogo di lutto e terrore: l’irruzione d’un commando palestinese nel villaggio olimpico, l’attacco a una palazzina di atleti israeliani, la strage che ne consegue, non fermano le Olimpiadi, ma le cambiano per sempre. Il sangue aveva già macchiato i Giochi, a Città del Messico nel 1968, con la strage di studenti sulla piazza delle Tre Culture a Tlatelolco; e lo farà ancora ad Atlanta, dove un esaltato bombarolo fece esplodere un ordigno fra la folla di un evento para-olimpico. Ma dopo Monaco la sicurezza è divenuta uno degli elementi cardine dell’apparato olimpico.
I Giochi sono anche stati esposti alle contestazioni politiche: per tre edizioni consecutive, Montreal 1976, Mosca 1980 e Los Angeles 1984, la partecipazione subì defezioni, per il boicottaggio rispettivamente degli africani, di parte degli occidentali – in seguito all’invasione dell’Afghanistan (gli italiani lasciarono a casa solo i militari) - e dei Paesi comunisti, come ritorsione per Mosca.
Barcellona 1992 – L’esempio dei Giochi di successo per antonomasia: bene organizzati, ben gestiti, nel segno della festa per il ritorno della Spagna alla democrazia. Quella resta, oggi, l’edizione di riferimento per chiunque progetti di ospitare le Olimpiadi, anche se non lasciò tracce indelebili a livello sportivo. La città ne uscì abbellita e non sul lastrico, come, invece, accadde nel 2006, ad Atene e a tutta la Grecia, che ancora si devono riprendere dal flop.
Pechino 2008 – Gli ultimi Giochi, quelli che hanno riconosciuto la potenza mondiale della Cina, non solo economica, ma anche politica e organizzativa (e sportiva: più ori degli Usa, più ori di tutti). Un po’ quello che Tokyo 1964 fu per il Giappone; e un po’ quello che Rio de Janeiro 2016 sarà per il Brasile come simbolo dei Paesi emergenti.
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