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domenica 27 febbraio 2011

Libia: Onu, Ue, Usa, tutti armati di buone sanzioni

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/02/2011

A Ignazio La Russa, ministro della difesa, un tempo pretoriano di Fini, oggi guardaspalle di Mr B, capita di inciampare nelle parole: ieri, aveva detto una cosa (quasi) giusta, ma poi s’è corretto ed è venuto fuori un patatrac. “Il Trattato tra Italia e Libia non c’è già più, è già sospeso, è inoperante”, afferma a Livorno, dove fa visita ai soldati della Folgore in partenza per l’Afghanistan: E lui, che aveva sempre sostenuto che l’Italia non ha mai fornito armi alla Libia, si ricorda improvvisamente delle motovedette cedutele per bloccare i barconi degli emigranti e spèiega, a mo’ d’esempio, che “gli uomini della guardia di finanza, che erano sulle motovedette oper controlare i libici (senza per altro impedire loro di sparare su un peschereccio di mazzara del vallo, ndr) ora sono nella nostra ambasciata”.

E bravo l’Ignazio, che s’adegua al cambiamento di linea del premier: Silvio Berlusconi riconosce che l’ “amico”, fino a manco una settimana fa, Gheddafi non ha più il controllo del proprio Paese e, probabilmente, manco di casa sua e, dopo avere frenato per vari giorni constata: “Italia e Ue non possono essere spettatori” della crisi libica: “basta polemiche” (opera essenzialmente sua, finora, con i partner europei), bisogna “sostenere il popolo libico” e “fermare il bagno di sangue”, ma anche evitare “il rischio d’integralismo” e “gli sbarchi fuori controllo”.

Passa qualche ora e l’Ignazio si prende paura di avere fatto il passo più lungo del dovuto: il Trattato, precisa, non è sospeso, è solo inoperante, proprio mentre un altro amichetto suo, l’un tempo premier tecnico Lamberto Dini, constata che la sospensione è nei fatti, perché “non c’è la controparte”, cioè lo Stato Libia, “con cui applicarne le clausole”. E l’opposizione, più o meno all’unisono, gli chiede, invece, di andare oltre e di “abrogare subito il Trattato della vergogna”, altro che dell’amicizia –parole fra virgolette di PierFerdinando Casini-.

Intanto che La Russa spacca il capello in quattro, l’Onu, gli Usa e l’Ue vanno avanti: lo fanno magari un po’ tardi, ma vanno avanti. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite vara un insieme di sanzioni già messo a punto, dopo che il presidente Usa Barack Obama aveva ‘congelato’, venerdì, i beni dei Gheddafi sul territorio statunitense. Peccato che, secondo il Times, il Colonnello avrebbe appena trasferito tre miliardi di sterline a Londra.

Comunque, i soldi del dittatore non dovrebbero essere al sicuro neppur e lì, anzi: l’Unione europea sta definendo le sue sanzioni (e il premier britannico David Cameron ne è fra i maggiori sponsor) e sta pure progettando interventi umanitari, al di là di un primo intervento già stanziato per tre milioni di euro e del coordinamento dell’evacuazione degli stranieri. Intendiamoci, le sanzioni sono ormai poco più di una foglia di fico che organizzazioni internazionali e singoli Stati si mettono indosso per coprire connivenze e tolleranze di anni col dittatore di Tripoli, che adesso, invece, vogliono tradurre in giustizia davanti alla Corte dell’Aja se ne saranno provati crimini contro l’umanità.

Ma il blocco dei beni in Occidente e l’eventuale divieto d’ingresso nell’Ue non hanno impatto sull’epilogo della vicenda libica e neppure lo accelerano. A quello, possono piuttosto contribuire interventi militari, come un’interdizione di volo sulla Libia (una ‘no fly zone’, del tipo di quella unilateralmente attuata dagli usa sull’Iraq), che deve però essere decisa dall’Onu ed eventualmente attuata dalla Nato: servirebbe a evitare la repressione della rivolta dal cielo. Improponibile, invece, un’operazione di sbarco, che avrebbe solo connotazioni negative per le popolazioni libiche.

E’ però probabile che lo stallo sul destino di Gheddafi si sblocchi prima che la ‘no fly zone’ possa essere decisa e attuata. Un consulto militare in ambito atlantico potrebbe svolgersi a Napoli, secondo un’ipotesi suggerita a La Russa dal collega britannico Liam Fox. Ma c’è ancora chi s’oppone sia alle sanzioni che alle opzioni ‘interventiste’: il premier turco Recep Tayyip Erdogan dice che le conseguenze peserebbero sul popolo innocente e accusa l’Occidente di "ragionare" solo in termini di barili di petrolio e di “volere rendere il mondo un posto più sicuro ricorrendo sempre e solo alle sanzioni".

Erdogan ragiona, magari, in ottica islamica. Ma tutti i torti non li ha. Noi, saltati i tappi in Tunisia, Egitto, presto Libia, immediatamente ci preoccupiamo di quello che accadrà adesso: integralismi al potere?, ondate di terrorismo?, o, meno cruentamente, ma più verosimilmente, ondate di migranti sulle nostre coste? E già ci viene la nostalgia del tappo: mettercene un altro, per stare tranquilli noi, mica meglio e liberi loro.

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