Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/02/2011
Dal loro punto di vista, il problema non è Berlusconi: il problema è l’Italia di Mr B, che, però, a ben guardare non è tanto diversa, dal loro punto di vista, dall’Italia di Moro e di Andreotti, di Spadolini e di Craxi, di Ciampi e di Prodi. Ve la ricordate la ‘Bulgaria della Nato’ degli Anni Ottanta, l’epoca degli euromissili (epperò –va bene, mica me ne dimentico- anche quella di Sigonella)? In fondo, trent’anni dopo siamo ancora lì.
Il punto di vista è quello degli Stati Uniti, che ci vedono come un alleato la cui debolezza, e il cui desiderio di compiacere il partner potente, può permette loro di ottenere tutto quel che vogliono, dall’Iraq all’Afghanistan all’ampliamento della caserma Dal Molin (o almeno di provarci, perché poi capita che i vincoli europei dell’Italia –Ogm, ambiente- o l’indipendenza della magistratura –caso Abu Omar- deludano Washington). In cambio, basta un invito al ranch o una pacca sulle spalle in maniche di camicia all’Aquila, se l’interlocutore è Berlusconi; oppure, lo sdoganamento dall’etichetta di ‘rossi’ con un bell’invito alla Casa Bianca, se l’interlocutore è di sinistra.
E’ questo, in estrema sintesi e un po’ tagliato con l’accetta, perché i distinguo ci sono, su episodi, temi, protagonisti, il significato della ‘sfornata’ di documenti di Wikileaks che L’Espresso ha da ieri iniziato a pubblicare: 4000 files dal 2002 all’aprile 2010, usciti dalle rappresentanze diplomatiche degli Stati Uniti in Italia, con in calce anche le firme degli ambasciatori, che fossero di nomina ‘bushiana’ od ‘obamiana’.
Sotto il titolo in copertina ‘Quel premier è un clown’, L’Espresso scrive che dai dispacci “emerge un leader che ha sfruttato le istituzioni e danneggiato il Paese” e che –altro titolo- “ha reso comica l’Italia” compromettendone l’immagine in Europa e dando un tono ridicolo alla reputazione italiana in molti settori dell’Amministrazione statunitense. Ronald Spogli, rappresentante di Bush a Roma, descrive il premier come “il simbolo dell’incapacità e inefficienza dei governi italiani” e ne percepisce la volontà “di anteporre gli interessi personali a quelli dello Stato”.
Ma che questi fossero i giudizi già lo sapevano dai files di Wikileaks pubblicati l’autunno scorso. Quello che adesso salta fuori più chiaramente è che Washington usa le debolezze e la “devozione” berlusconiane. Perché aiutare un leader così debole? Alla vigilia di un G8 a rischio fallimento, lo spiega Elizabeth Dibble, l’incaricata d’affari allontanata da Roma, dopo gli eccessi di disinvoltura dei suoi cablo: “I dirigenti italiani sono ansiosi di sostenere le priorità del governo statunitense, desiderano essere in sintonia con la nostra politica in ogni modo”. E, allora, perchè negare a Mr B una foto a tu per tu nel centro dell’Aquila devastato, se l’immagine, che non costa nulla, può rendere su mille fronti?
Anche senza i sottomarini nucleari alla Maddalena, l’Italia resta una ‘portaerei americana’ nel Mediterraneo ed è pronta ad assecondare le scelte di Washington in Afghanistan e in Libano, contro l’Iran e pro Israele e sui fronti della lotta al terrorismo –più o meno puliti che siano stati i metodi-.
La ridda di reazioni ai nuovi files si sofferma più sulla forma che sulla sostanza. La maggioranza offre smentite e difese d’ufficio. L’opposizione sottolinea l’immagine dell’Italia “devastante” –il segretario del Pd Bersani- e il leader “pagliaccio incapace” –il presidente dell’Idv Di Pietro-, o ce l’ha col ministro della difesa La Russa, che ancora parla di ‘missione di pace’ in Afghanistan.
sabato 19 febbraio 2011
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