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giovedì 3 febbraio 2011

MO: l'Italia di Mr B conta meno di quella di Andreotti

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 03/02/2011

Quando le relazioni tra due Paesi sono affidate ai rapporti personali tra i loro leader, più che a un fitto intreccio di contatti e interessi politici, economici, culturali, la loro fragilità è molto maggiore. E la presenza sulla riva sud del Mediterraneo e nel Medio Oriente dell’Italia di Silvio Berlusconi, che pure fa del Sistema Paese un ritornello e che a parole trasforma le ambasciate in avamposti dell’imprenditoria, soffre proprio della personalizzazione dei rapporti del premier con il tunisino Ben Ali e con l’egiziano Hosni Mubarak (e il fatto che Ruby sia divenuta, il tempo d’una telefonata, ‘nipote del Faraone’, è solo un aneddoto ininfluente in questo discorso).

Un diplomatico italiano di rango e di esperienza, che ha partecipato, nelle ultime settimane, alle consultazioni multilaterali sulle crisi in atto, dalla Bielorussia –dopo le elezioni presidenziali di dicembre, un plebiscito per Aleksander Lukashenko tra brogli e arresti degli oppositori- al ‘domino dei satrapi’ nel Mediterraneo e nel Golfo, ammette che l’esposizione personale di Mr B, in termini di amicizia e di vicinanza, verso leader discussi non lo ha aiutato a rendere credibile la posizione dell’Italia, quando si tratta di discutere sanzioni che colpiscono personalmente Lukashenko, privato del visto d’ingresso nell’Ue, o Ben Ali (congelamento dei beni).

Certo, neppure aiuta la relativa latitanza del ministro degli esteri Franco Frattini, che a Bruxelles si vede (troppo) poco e che, naturalmente, quando arriva non trova il terreno in discesa. Senza contare che Frattini, neppure a Bruxlles, rinuncia a giocare all’uomo d’ordine del Pdl e affronta, sia pure rispondendo a domande di giornalisti, questioni di politica interna. Possibile che la lezione, anche d’opportunismo, se vogliamo, di Giulio Andreotti sia stata dimenticata? Quando il Divo era ministro degli esteri, si rifiutava di rispondere a chi gli poneva domande di politica interna durante una missione internazionale perchè era lì a rappresentare l’Italia e non un partito.

Fatto è che l’Italia della cosiddetta II Repubblica sembra pesare meno, nel Medio Oriente, di quanto non pesasse quella della bistrattata I Repubblica. Conta pure un relativo sbilanciamento pro-Israele, almeno dal punto di vista arabo, nel tentativo di aree del Pdl di cancellare l’indelebile peccato originale anti-semita. E conta anche una politica estera energetica oggi più attenta ai fornitori dell’ex Urss e dell’Asia centrale che a quelli tradizionali arabi e del Golfo: l’Eni di Scaroni guarda ad Est quanto l’Eni di Mattei guardava a Sud. Ed è significativo, infine, che nessuna ambasciata Ue nel Sud del Mediterraneo sia affidata a un diplomatico o funzionario italiano: una situazione pregressa all’entrata in funzione, il 1.o dicembre 2010, del Servizio diplomatico europeo, ma che la presenza alla testa della politica estera europea di Lady Ashton non ha modificato né migliorato.

Sul fronte mediorientale in senso lato, sccede che l’Italia incassi sconfitte europee anche quando, sulla carta, parte da leader e con buone alleanze. E’ accaduto lunedi’ a Bruxelles, dove il Consiglio dei Ministri degli Esteri dei 27 non ha trovato l’accordo su una dichiarazione sulla libertà religiosa, un’iniziativa lanciata proprio dal ministro Frattini dopo gli attacchi terroristici compiuti, a fine 2010, contro i cristiani d’Oriente, specie contro i copti in Egitto. E dire che Frattini non s’era mosso da solo: la lettera che sollecitava un passo dell’UE in tal senso portava anche le firme della francese Michèle Alliot-Marie e del polacco Radoslaw Sikorski ed aveva avuto l’appoggio della presidenza di turno ungherese del Consiglio dell’Ue.

Un testo era pronto, ma Frattini l’ha giudicato troppo vago, perchè la Gran Bretagna e i Nordici, Svezia in testa, ma anche le cattolicissime Spagna e Irlanda, non volevano che contenesse riferimenti specifici a una confessione religiosa, ma che si limitasse a riferirsi genericamente alle comunità religiose: volevano, cioè, avesse un linguaggio ecumenico e non assumesse il significato d’una crociata cristiana. Risultato: fallito un tentativo di conciliazione italiano –citare gli attentati contro i cristiani, ma anche quelli contro gli sciiti di Kerbala in Iraq, per la serie ‘un colpo al cerchio e uno alla botte’-, il testo è rimasto in un cassetto di Lady Ashton, che dice “ci rifletteremo e ci torneremo” (nel linguaggio comunitario, puo’ suonare pietra tombale). Frattini si duole: “E’ stata scritta una pagina non bella”; e spiega: “Ho ritenuto che l’Europa non sarebbe stata credibile senza una menzione” dei cristiani in una risoluzione sulla libertà religiosa, perchè “il laicismo esasperato è dannoso alla credibilità” dell’Europa.

Come i personalismi esasperati e un velato integralismo nuocciono alla credibilità dell’Italia nell’Ue e nel Medio Oriente. E, di certo, non la ricollocano in prima linea nei Paesi del domino dove cadono le tessere cui i leader italiani sono personalmente legati.

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