Altro che Nobel della Pace: è
il Nobel della discordia, quello assegnato all’Unione europea. Fa discutere più
gli europeisti che gli euro-scettici, nel merito, nella tempistica, anche sulle
modalità di ritiro. Adesso, almeno, una decisione è stata presa: lo ritireranno
i presidenti delle tre principali Istituzioni europee, Consiglio, Commissione,
Parlamento; e i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi Ue sono tutti invitati
a Oslo, per la la cerimonia del 9 dicembre.
Ma la soluzione, salomonica e
collegiale, su chi debba ritirare il premio non spegne, specie sul web,
l’intreccio di commenti critici e proposte alternative. Il Movimento europeo e
la Fondazione Rifkin, che si richiama all’economista Jeremy Rifkin, quello del
‘sogno europeo’, stanno organizzando manifestazioni di protesta pacifiche il
cento città europee il 9 dicembre.
Il premio, dunque, sarà messo
nelle mani di Herman van Rompuy, José Manuel Durao Barroso e Martin Schulz: dal
punto di vista protocollare, nulla da eccepire, anche se la triplice
designazione certifica la mancanza d’un rappresentante unico dell’Unione
europea. Se il premio fosse stato attribuito a uno Stato nazionale, pochi dubbi
che a ritirarlo sarebbe andato il capo dello Stato, senza troppi codazzi.
Nel giro di dieci giorni dalla
decisione dell’Accademia norvegese, numerose lettere sono state spedite alle
Istituzioni comunitarie, con proposte alternative di vario tenore: c’è pure chi
ha ipotizzato una delegazione di 27 giovinetti, uno per Paese dell’Ue,
innocenti abbastanza per non sentirsi addosso le macchie contro la pace dei
loro Padri e, soprattutto, dei loro Nonni. Che, però, appartengono pure alla
generazione dei Padri dell’Europa, quelli che, per giudizio pressoché unanime,
il Nobel l’avrebbero effettivamente meritato.
In rete, è stato pure lanciato
un sondaggio, che, dopo una settimana, aveva dato risultati modesti, sia per il
livello di partecipazione che per la distribuzione delle indicazioni: neppure
2000 europei avevano ‘votato’ se mandare a Oslo Barroso (520 suffragi), Van
Rompuy (341), Schulz (169) o il ‘ministro degli esteri’ europeo molto ombra
Lady Ashton (appena 22 suffragi, e va già bene che 22 la conoscessero) o ancora
Jacques Delors (222), quello che più s’apparenta ai padri dell’Europa fra i
politici viventi. La maggioranza relativa dei partecipanti al sondaggio, 610,
quasi uno su tre, avevano risposto “nessuno di questi”.
Un’altra iniziativa su Internet
sosteneva la proposta di mandare a ritirare il premio Virgilio Dastoli, presidente
del Comitato italiano del Movimento europeo, già rappresentante della
Commissione in Italia, ma soprattutto a lungo stretto collaboratore di Altiero
Spinelli. Nello stesso tempo in cui Barroso riceveva 520 preferenze, Dastoli ne
ha avute dieci volte tante, circa 5000. Una riprova che non è l’idea d’Unione impopolare,
quanto l’incarnazione che oggi ne danno i suoi attuali leader e i percorsi d’integrazione
che essi ipotizzano.
Presa
la decisione, al Vertice europeo della scorsa settimana, il brontolio del web
diventerà mormorio e andrà presto spegnendosi. Ma il segnale è stato forte e
andrebbe colto.
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