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lunedì 22 ottobre 2012

Nobel Pace: Ue, un pomo della discordia

Scritto per EurActiv il 22/10/2012

Altro che Nobel della Pace: è il Nobel della discordia, quello assegnato all’Unione europea. Fa discutere più gli europeisti che gli euro-scettici, nel merito, nella tempistica, anche sulle modalità di ritiro. Adesso, almeno, una decisione è stata presa: lo ritireranno i presidenti delle tre principali Istituzioni europee, Consiglio, Commissione, Parlamento; e i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi Ue sono tutti invitati a Oslo, per la la cerimonia del 9 dicembre.

Ma la soluzione, salomonica e collegiale, su chi debba ritirare il premio non spegne, specie sul web, l’intreccio di commenti critici e proposte alternative. Il Movimento europeo e la Fondazione Rifkin, che si richiama all’economista Jeremy Rifkin, quello del ‘sogno europeo’, stanno organizzando manifestazioni di protesta pacifiche il cento città europee il 9 dicembre.

Il premio, dunque, sarà messo nelle mani di Herman van Rompuy, José Manuel Durao Barroso e Martin Schulz: dal punto di vista protocollare, nulla da eccepire, anche se la triplice designazione certifica la mancanza d’un rappresentante unico dell’Unione europea. Se il premio fosse stato attribuito a uno Stato nazionale, pochi dubbi che a ritirarlo sarebbe andato il capo dello Stato, senza troppi codazzi.

Nel giro di dieci giorni dalla decisione dell’Accademia norvegese, numerose lettere sono state spedite alle Istituzioni comunitarie, con proposte alternative di vario tenore: c’è pure chi ha ipotizzato una delegazione di 27 giovinetti, uno per Paese dell’Ue, innocenti abbastanza per non sentirsi addosso le macchie contro la pace dei loro Padri e, soprattutto, dei loro Nonni. Che, però, appartengono pure alla generazione dei Padri dell’Europa, quelli che, per giudizio pressoché unanime, il Nobel l’avrebbero effettivamente meritato.

In rete, è stato pure lanciato un sondaggio, che, dopo una settimana, aveva dato risultati modesti, sia per il livello di partecipazione che per la distribuzione delle indicazioni: neppure 2000 europei avevano ‘votato’ se mandare a Oslo Barroso (520 suffragi), Van Rompuy (341), Schulz (169) o il ‘ministro degli esteri’ europeo molto ombra Lady Ashton (appena 22 suffragi, e va già bene che 22 la conoscessero) o ancora Jacques Delors (222), quello che più s’apparenta ai padri dell’Europa fra i politici viventi. La maggioranza relativa dei partecipanti al sondaggio, 610, quasi uno su tre, avevano risposto “nessuno di questi”.

Un’altra iniziativa su Internet sosteneva la proposta di mandare a ritirare il premio Virgilio Dastoli, presidente del Comitato italiano del Movimento europeo, già rappresentante della Commissione in Italia, ma soprattutto a lungo stretto collaboratore di Altiero Spinelli. Nello stesso tempo in cui Barroso riceveva 520 preferenze, Dastoli ne ha avute dieci volte tante, circa 5000. Una riprova che non è l’idea d’Unione impopolare, quanto l’incarnazione che oggi ne danno i suoi attuali leader e i percorsi d’integrazione che essi ipotizzano.

Presa la decisione, al Vertice europeo della scorsa settimana, il brontolio del web diventerà mormorio e andrà presto spegnendosi. Ma il segnale è stato forte e andrebbe colto.

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